È tempo di rivedere le raccomandazioni nutrizionali che molte Istituzioni e Società Scientifiche nazionali ed internazionali hanno elaborato e diffuso relativamente al rapporto tra assunzione di grassi, a iniziare dai saturi, e salute cardiovascolare e metabolica?
Una convinta risposta positiva a questa domanda viene da alcuni tra i principali ricercatori e clinici del settore.
L’approccio che propongono, in linea con gli studidi intervento e di epidemiologia osservazionale più recenti, è basato sulla valutazione degli effetti di salute dei grassi, i saturi per primi, in quanto componenti della dieta, veicolati dagli alimenti (e quindi da matrici complesse), a loro volta parte del pattern di abitudini alimentari individuali, e non come semplici macronutrienti.
Questa posizione è delineata in una corposa revisione della letteratura più recente pubblicata sull’organo dell’American College of Cardiology (JACC), con la prima firma di Arne Astrup (Dipartimento di Nutrizione, Attività fisica e Sport dell’Università di Copenhagen); tra gli Autori figura anche Salim Yusuf (McMaster University, Ontario, Canada), a cui si devono alcuni tra i contributi più significativi degli ultimi decenni in tema di nutrizione (non ultimo lo studio PURE).
L’articolo stabilisce alcuni punti fermi nel dibattito attuale sull’effettivo ruolo che i grassi saturi svolgono per il benessere e la salute cardiovascolare e metabolica.
Le nozioni di base da cui prende le mosse la revisione attuale
La raccomandazione a limitare l’apporto di grassi saturi al 10% delle calorie totali, per salvaguardare la salute cardiovascolare e metabolica, prende piede alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, basandosi essenzialmente sull’osservazione degli effetti di alcuni acidi grassi sulle frazioni della colesterolemia, e soprattutto sulla colesterolemia legata alle LDL. E ha vita lunga. Le voci dissonanti si fanno infatti sentire solo in questo ultimo decennio facendo seguito ai risultati, abbastanza modesti anche se talora significativi, degli studi sulla morbilità e la mortalità cardiovascolare dopo riduzione dell’apporto di grassi saturi, ma anche alla valutazione complessiva degli effetti dei saturi negli studi prospettici di coorte (la cosiddetta “epidemiologia osservazionale”). Considerando in altre parole il problema da angolature più articolate.
Il primo aspetto esaminato riguarda le caratteristiche chimiche e strutturali degli acidi grassi saturi presenti negli alimenti, che sono diverse, così come i loro effetti biologici. La differenza principale riguarda il numero di atomi di carbonio che compongono gli acidi grassi, che possono essere a catena corta (4-6 atomi di carbonio) come l’acido butirrico, media (8-12 atomi di carbonio) come l’acido laurico, o lunga (14-20 atomi di carbonio) come l’acido palmitico e lo stearico.
Gli acidi grassi saturi a catena corta, complessivamente, esercitano effetti di salute favorevoli: come fonte energetica a “rapida disponibilità” (in quanto non necessitano di essere incorporati nelle lipoproteine, essendo idrosolubili), ma anche, per esempio, come modulatori dell’infiammazione (non è da trascurare che la produzione di questi acidi grassi è uno degli aspetti metabolici del microbiota intestinale cui si attribuisce maggiore importanza).
Gli acidi grassi saturi a lunga catena, per contro, aumentano la colesterolemia LDL; fa eccezione lo stearico che non ha effetti su questo parametro.
L’acido miristico, lo stearico e soprattutto il palmitico sono in buona parte sintetizzati a partire da carboidrati e proteine assunti con l’alimentazione: l’analisi dell’associazione tra i livelli plasmatici di questi acidi grassi e specifiche patologie (alcuni anni addietro si parlò molto, per esempio, dell’effetto diabetogeno dell’acido palmitico) non fornisce quindi indicazioni sull’effetto di salute diretto di questi acidi grassi se sono assunti con gli alimenti, ma spesso piuttosto sull’eccesso calorico complessivo e quindi sulla loro aumentata sintesi endogena.
Ma la considerazione forse di maggiore rilievo è che gli acidi grassi saturi a catena corta presenti nella dieta derivano principalmente da alimenti (latte e derivati, carni rosse), che però forniscono anche quantità significative di acidi grassi saturi a catena media e lunga.
Nei derivati del latte, ma anche nella carne bovina e negli altri alimenti ottenuti dai ruminanti, sono inoltre contenute anche quantità modeste di acidi grassi saturi a catena ramificata, con una temperatura di fusione bassa, caratteristica questa che li accomuna agli acidi grassi polinsaturi. Questi stessi acidi grassi saturi ramificati sono presenti nell’intestino dei bambini sani e si ritiene che abbiano un ruolo nel fisiologico processo di colonizzazione intestinale da parte del microbiota.
I dati esposti sono sufficienti a chiarire un concetto chiave: le principali fonti alimentari, come il latte intero e i derivati, contengono in effetti miscele complesse di acidi grassi saturi, presenti in proporzioni diverse, insieme con acidi grassi insaturi e altre sostanze non grasse.
Inoltre, apportano altri componenti (sali minerali, proteine, vitamine ecc.) che possono influenzare in maniera anche marcata l’effetto finale a livello dell’organismo. Ad esempio, in Italia, secondo dati raccolti nell’ambito dell’indagine INRAN-SCAI 2005-06, i prodotti appartenenti alle categorie “Latte e derivati” e “Carni e insaccati”, pur contribuendo in modo significativo all’apporto di saturi (per oltre il 50% del totale), sono anche fonti rilevanti di grassi mono e polinsaturi, apportano più della metà della quota proteica complessiva della dieta e contribuiscono in misura determinante all’assunzione di minerali (soprattutto calcio e fosforo per il latte e zinco e ferro per la carne) e vitamine A, D e del gruppo B (vedi Figura).
Grassi e carboidrati: gli aspetti da approfondire per un’alimentazione su misura
Grazie ai progressi della ricerca, è sempre più evidente che non esiste un solo schema alimentare in grado di proteggere la salute cardiovascolare e metabolica.
Per quanto riguarda i grassi, in particolare, gioca un ruolo di rilievo la variabilità della risposta individuale, la cui comprensione è una delle sfide più impegnative della ricerca nutrizionale.
Per comprenderne la complessità basta citare alcuni esempi già noti. I portatori della variante E4 dell’Apolipoproteina E (responsabile del catabolismo delle lipoproteine, ma anche uno dei principali determinanti genetici del rischio di demenza senile) sono per esempio più sensibili all’assunzione di grassi saturi con la dieta; la stessa vulnerabilità è presente nei soggetti con un punteggio genetico di modulazione dell’indice di massa corporea meno favorevole, come emerge dagli studi GOLDN (Genetics of Lipid Lowering Drugs and Diet Network) e MESA (Multi-Ethnic Study of Atherosclerosis).
In queste popolazioni, una riduzione dell’apporto di acidi grassi saturi potrebbe risultare positiva per la salute cardiovascolare e metabolica.
Nelle persone (probabilmente più numerose) non portatrici dell’allele ApoE4, o con assetto genetico relativo alla massa corporea più favorevole, l’effetto finale della riduzione del consumo di saturi potrebbe essere invece minore, trascurabile, o addirittura negativo (se deriverà dall’eliminazione di alimenti con effetti complessivamente positivi sulla salute).
Per contro, per i soggetti con una minore tolleranza ai carboidrati, che possono essere riconosciuti valutando la sensibilità all’insulina (che risulta ridotta, così come la capacità di secrezione di questo ormone) si configura una situazione del tutto differente: in questo gruppo di popolazione l’alimentazione andrebbe modulata privilegiando l’apporto di fibre e di grassi (saturi inclusi), limitando quello dei carboidrati “glicemici” (che rilasciano glucosio), contrariamente alle indicazioni nutrizionali generali prevalenti.

Le ricadute dell’apporto di saturi sulla salute: quali sono le evidenze
Gli autori della review hanno considerato i risultati di alcuni tra gli studi di popolazione più ampi, di epidemiologia osservazionale, come lo statunitense WHI (Women’s Health Initiative) e il PURE (Prospective Urban and Rural Epidemiology), o di intervento, come lo spagnolo PREDIMED (Prevenciòn con Dieta Mediterrànea).
Nel WHI, che ha coinvolto 49mila donne in menopausa seguite per otto anni, non è stata rilevata alcuna correlazione favorevole tra apporto di grassi e rischio di infarto miocardico e di ictus, che non si modificava per livelli di assunzione dei saturi inferiori al 9,5% delle calorie totali oppure superiori.
Nel PURE, che ha invece coinvolto popolazioni rurali e urbane di 18 Paesi (da 5 continenti), includendo anche Paesi con reddito nazionale medio o basso (per un totale di 135mila soggetti sani), a consumi più elevati di grassi (saturi, monoinsaturi e polinsaturi) è risultata associata una riduzione della mortalità per tutte le cause; nessuna correlazione è stata rilevata con il rischio cardiovascolare e metabolico.
Infine nel PREDIMED, condotto in Spagna su uomini e donne di 55-80 anni, tra i soggetti randomizzati ad una dieta mediterranea arricchita con frutta secca a guscio o olio extravergine di oliva si è osservata una riduzione significativa di morbilità e mortalità cardiovascolari rispetto al gruppo di controllo, che seguiva una dieta ipolipidica; e questo nonostante l’aumento complessivo dell’apporto dei grassi, compresa una quota di saturi (non dimentichiamo che nei Paesi mediterranei, dove rappresenta il grasso alimentare di base, l’olio d’oliva, con un contenuto di saturi pari al 15% circa del totale, diventa una delle fonti principali di questi acidi grassi).
Il complesso dei dati raccolti negli studi osservazionali, oggetto negli ultimi anni di tre metanalisi, ha inoltre sortito un verdetto di “non colpevolezza” per i saturi: che non correlano in nessuna delle tre metanalisi (Siri-Tarino et al., 2010; de Souza et al., 2015; Zhu et al., 2019) con la morbilità e la mortalità cardiovascolare e, nell’unico studio che ha affrontato il quesito (quello di de Souza), nemmeno con la mortalità per qualunque causa.
Da citare sono anche i dati UK Biobank, relativi a 195.658 soggetti seguiti per 10,6 anni, dai quali è emerso che l’apporto di grassi saturi, almeno fino al 20% delle calorie totali, non si associa ad un aumento dell’incidenza di eventi cardiovascolari.
Tra l’altro, l’apporto dietetico di saturi non appare nell’elenco dei primi 15 fattori responsabili dell’eccesso di mortalità correlato all’alimentazione, stilato dal gruppo di lavoro Global Burden of Disease (GBD), né a livello globale e nemmeno in Italia.
Nonostante le differenze di popolazione e di disegno, dal complesso di queste ricerche emergono alcune conclusioni oggi largamente condivise a livello internazionale:
- considerando l’alimentazione nel suo complesso, secondo i dati UK Biobank l’apporto di grassi totali e di carboidrati (almeno fino al 55% della quota calorica complessiva) non svolgerebbe alcun effetto di salute significativo: l’associazione con il minor rischio di mortalità per tutte le cause corrisponderebbe invece ad un apporto di fibre consistente (10-30 g al giorno) e ad una buona quota di proteine (almeno il 14% del totale calorico);
- i risultati del PURE confermano la necessità di riequilibrare verso l’alto il consumo di tutti i grassi, saturi compresi, limitando l’apporto di carboidrati raffinati, se elevato;
- il PREDIMED ha evidenziato i buoni risultati a livello cardiovascolare e metabolico in risposta ad un apporto di grassi totali (compresa, come già detto, la quota di saturi) aumentato del 4,5%;
- secondo le metanalisi pubblicate, ed il lavoro del GBD, il consumo di saturi, di per sé, non contribuirebbe quindi direttamente all’eccesso di eventi cardiovascolari, fatali o non fatali, o alla mortalità per tutte le cause.
Dal macronutriente all’alimento alla dieta nel suo complesso
L’effetto della quota lipidica assunta con gli alimenti sulla salute non può dunque essere ridotto alla somma degli effetti parziali di ciascuna categoria di grassi, ma è il risultato dell’interazione con la dieta nel suo complesso. Un altro fattore di cui tenere conto è poi la matrice dell’alimento che veicola il grasso.
Sono queste le basi sulle quali, secondo Astrup e colleghi, dovrebbe basarsi una revisione delle raccomandazioni nutrizionali relative all’apporto degli alimenti che veicolano i grassi. Più in dettaglio, il lavoro di JACC si focalizza su:
- Yogurt e formaggi. Per quanto riguarda i derivati del latte, che rappresentano la principale fonte di acidi grassi saturi nella maggior parte delle diete, le linee guida nutrizionali puntano su prodotti a basso (o bassissimo) tenore di grassi. Da alcuni anni, però, sono sempre più consistenti i dati che associano il consumo di yogurt e formaggi con una riduzione del rischio cardiovascolare e metabolico (come il rischio di diabete di tipo 2). Le matrici alimentari di yogurt e formaggi hanno un ruolo fondamentale a questo proposito: si tratta infatti di matrici complesse, che contengono (come già precisato nei paragrafi precedenti) non solo acidi grassi saturi diversi, ma anche proteine specifiche (caseina e proteine del siero), minerali (calcio, magnesio, fosfati), sodio e fosfolipidi, a formare la membrana dei globuli entro cui sono contenuti i grassi stessi.
Probiotici, peptidi bioattivi e vitamine completano il profilo nutrizionale. Ne deriva che l’interazione di questi alimenti con la salute cardiovascolare e metabolica non possa essere ricondotta al solo apporto di acidi grassi saturi. - Uova. Non c’è dubbio che il contributo in acidi grassi saturi di questi alimenti all’apporto totale sia considerevole. Le uova, però, apportano anche proteine di alta qualità minerali, vitamine. Inoltre, le metanalisi più recenti hanno messo in luce che il consumo regolare di uova non è associato al rischio di malattia coronarica e può anzi essere associato a una riduzione del rischio di ictus.
- Carni. L’attenzione di questa revisione si focalizza sulla carne rossa non lavorata, in cui gli acidi grassi saturi sono presenti in una matrice complessa, insieme a proteine, ferro nella forma più biodisponibile, minerali e vitamine. Il consumo moderato di carni rosse è perciò indicato soprattutto per i gruppi di popolazione più fragili ed esposti al rischio di malnutrizione per difetto, come gli anziani.
- Cioccolato fondente. Se l’acido grasso principale del cioccolato fondente è l’acido stearico (che ha un effetto neutro sul livello del colesterolo LDL, e quindi sul rischio cardiovascolare), va detto che anche il cioccolato fondente, così come latte e derivati e uova, apporta nutrienti e altre sostanze non nutrienti (come i polifenoli), dotate di potenziali proprietà per la salute cardiovascolare e metabolica: antiossidanti, antinfiammatori, antipertensivi, antiaterogeni, antitrombotici.
Conclusioni
- Le raccomandazioni nutrizionali nazionali e internazionali hanno finora indicato nel 10% delle calorie totali quotidiane la quota massima di acidi grassi saturi da assumere per contenere il rischio cardiovascolare e metabolico.
- Secondo gli Autori di una recente revisione della letteratura, queste indicazioni, però, non considerano adeguatamente l’alimentazione nel suo insieme, in cui giocano un ruolo di rilievo le caratteristiche specifiche dei diversi acidi grassi saturi, la complessità degli alimenti che li veicolano, gli eventuali trattamenti subiti prima del consumo e la presenza di altri macro e micronutrienti.
- Trascurare questi dati reali può indurre a evitare cibi molto ricchi sul piano nutrizionale.
- Alcune tra le principali fonti alimentari di grassi saturi rappresentano di fatto alimenti indispensabili per ridurre il rischio di malnutrizione per difetto e di fragilità, soprattutto nei gruppi di popolazione a rischio, a iniziare da bambini e anziani.
- Inoltre, la ricerca recente sta mettendo in luce come un consumo regolare e moderato di alcuni di questi alimenti (specie i derivati del latte) contribuisca anzi a tenere sotto controllo il rischio cardiovascolare e metabolico.
- Come per i grassi saturi, anche per gli altri macronutrienti, prima di tutto i carboidrati, le raccomandazioni nutrizionali dovrebbero sottolineare la necessità di privilegiarne la qualità, moderandone comunque i consumi.
- Vi sono evidenze a supporto della necessità di approfondire anche il profilo genetico e metabolico dei consumatori, perché anche per gli acidi grassi saturi (come per altri nutrienti) gli effetti sulla salute, che possono essere diversi da individuo a individuo, dipendono dall’alimento che ne è fonte e dal complesso dell’alimentazione seguita.
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