Iscriviti alla Newsletter
  • Home
  • Profilo
      Chi siamo Mission Codice Etico Elenco Soci Comitato Scientifico
  • AP&B
  • News
  • Pubblicazioni
      Su Riviste Internazionali In lingua italiana Monografie
  • Eventi
  • Strumenti
      Infografiche Glossario Per sapere come Faq Links
  1. Home
  2. AP&B

Versione sfogliabile

Consulta la versione sfogliabile

ALLEGATI

Scarica PDF

Stampa

Stampa

Condividi

Email

AP&B Alimentazione, Prevenzione & Benessere n. 3 - 2020

Direttore Scientifico

Franca Marangoni

Direttore Responsabile

Patrizia Alma Pacini

© Copyright by
Nutrition Foundation of Italy e Pacini Editore Srl

Coordinamento redazionale

Alessandra Della Mura

Redazione

NFI - Nutrition Foundation of Italy
Viale Tunisia 38 - 20124 Milano
Tel. 02 76006271 - 02 83417795
Fax 02 76003514
info@nutrition-foundation.it

Grafica

Pacini Editore Srl
Via Gherardesca 1 - 56121 Pisa
Tel. 050 313011
Fax 050 313000
info@pacinieditore.it / 
www.pacinimedicina.it

Periodico mensile - Testata iscritta presso il Registro pubblico degli Operatori della Comunicazione (Pacini Editore Srl iscrizione n. 6269 del 29/08/2001)

 

L'Editoriale

di Franca Marangoni

Scorrendo la letteratura degli ultimi anni sulla relazione tra regimi alimentari, controllo del peso e fattori di rischio cardiometabolico, balza all’occhio la grande varietà non solo degli approcci nutrizionali (dalla riduzione della quota di grassi o carboidrati fino all’eliminazione di alcune categorie di alimenti o alla selezione di cibi con specifiche caratteristiche), ma anche della metodologia con la quale sono state condotto le varie ricerche. L’analisi puntuale dei risultati nel loro complesso non può prescindere da una valutazione critica dei protocolli utilizzati, delle caratteristiche dei gruppi di popolazione allo studio e della solidità statistica dei risultati. È stato questo l’approccio alla base della umbrella review recentemente pubblicata su Advances in Nutrition, all’origine del Tema di questo numero di AP&B, nella quale sono state esaminate le metanalisi degli studi condotti su un totale di 11 modelli alimentari. Nelle conclusioni gli Autori, che fanno parte del Gruppo Giovani della Società Italiana di Nutrizione Umana, sfatano alcuni miti, confermando anche alcune certezze, specie a proposito della superiorità della dieta mediterranea.
Il complesso rapporto tra alimentazione, processi di invecchiamento e patologie correlate all’età è invece al centro dell’Intervista di questo numero di AP&B. Rispondendo alle domande di Fabio Fioravanti, Marco Malavolta, ricercatore all’Advanced Technology Center for Aging Research, IRCCS INRCA di Ancona, illustra obbiettivi e principali risultati del progetto Mark-Age. Tra le caratteri.stiche di questo ampio studio internazionale merita particolare interesse il coinvolgimento dei figli di nonagenari e centenari, per la ricerca di marcatori biochimici, epigenetici e molecolari del.la predisposizione alla longevità.


Buona lettura!

Franca Marangoni
Direttore Scientifico AP&B

 

 Scarica questo articolo

Il Tema

Diete a confronto nel controllo di peso e rischio cardiometabolico: i risultati di una umbrella review

Monica Dinu, Daniela Martini, Francesco Sofi

1Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università degli Studi di Firenze;
2Dipartimento di Scienze degli Alimenti, la Nutrizione e l'Ambiente, Università degli Studi di Milano

Sovrappeso, obesità e patologie a carattere metabolico sono in continuo aumento a livello globale, confermandosi tra i principali problemi di salute pubblica del XXI secolo. Uno scenario che ha favorito il moltiplicarsi di proposte di diete che promettono spesso risultati rapidi e definitivi: accolte con molto favore dal pubblico, ma non dalla comunità medico-scientifica che, non da ora, segnala come alcuni interventi, drastici o squilibrati dal punto di vista nutrizionale, possano piuttosto avere conseguenze negative sullo stato di salute, oltre a non assicurare il mantenimento della perdita ponderale nel lungo periodo.
Proprio per chiarire il rapporto tra interventi dietetici e stato di salute, la ricerca si è focalizzata non solo sulla perdita ponderale, ma anche sulle risposte del metabolismo glucidico, di quello lipidico e sull’andamento dei marker di infiammazione sistemica di basso grado. Condotta dal Gruppo di Lavoro Giovani della Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU), è stata da poco pubblicata a questo proposito una umbrella review (rassegna sistematica delle revisioni e delle meta-analisi disponibili in letteratura su un determinato argomento) che, attraverso una panoramica delle diete più popolari, ne valuta criticamente gli effetti sia sui parametri antropometrici (prima di tutto il peso corporeo) e sia sui fattori di rischio cardiometabolico.

 

Perché è stata utilizzata questa metodologia di studio

Come è stato accennato in precedenza, una umbrella review (letteralmente “rassegna a ombrello”) fornisce una valutazione complessiva delle evidenze disponibili, tenendo conto della qualità metodologica dei lavori, della numerosità del campione di soggetti studiati, della potenza statistica del dato ottenuto, dell’eterogeneità tra gli studi e della possibile presenza di bias (errori metodologici).
La necessità di condurre umbrella review scaturisce dall’aumento esponenziale delle meta-analisi pubblicate in questi ultimi anni, delle quali, però, oltre la metà risulta ridondante o di scarsa qualità metodologica. Una valutazione critica dei dati disponibili diventa quindi imprescindibile, soprattutto in ambito nutrizionale, per limitare al massimo il rischio di diffondere concetti dietetici fuorvianti.
In questo lavoro sono stati considerati tutti gli interventi dietetici per i quali, in letteratura, sia presente almeno una meta-analisi di studi d’intervento condotti su adulti e con un confronto con diete di controllo. I parametri valutati, oltre al peso, sono stati l’indice di massa corporea, i livelli ematici di colesterolo totale, LDL, HDL e trigliceridi, quelli di glucosio, insulina, emoglobina glicata; infine la pressione arteriosa.
Complessivamente sono state identificate 80 meta-analisi e 11 tipologie differenti di diete (Tabella 1). La maggior parte (65 su 80, pari all’81%) di questi lavori, analizzati utilizzando il questionario specifico AMSTAR-2 (basato sulle caratteristiche salienti che definiscono la qualità di revisioni sistematiche e meta-analisi), è però risultata di qualità bassa, o molto bassa.
Inoltre, i criteri con cui sono state definite le diete di intervento e le diete di controllo sono risultati molto eterogenei, rendendo piuttosto difficoltoso il confronto tra i diversi protocolli. Alcuni Autori, per esempio, definivano “low-carb” una dieta in cui la percentuale di energia proveniente da carboidrati era ≤ 45%; altri utilizzavano percentuali molto inferiori o, addirittura, non indicavano la quantità di carboidrati inclusi. Non solo: nella maggior parte delle meta-analisi erano stati inclusi sia soggetti sani e sia soggetti con patologie, a volte nemmeno specificate.
I dati relativi a tutte le diete analizzate sono riportati in Tabella 2.

 

 

 

Questi i risultati dieta per dieta

I risultati sul rapporto tra interventi dietetici, parametri antropometrici e fattori di rischio cardiometabolico nelle 80 meta-analisi considerate sono riassunti nella Figura.

 

Relazione tra diete analizzate, parametri antropometrici e fattori di rischio cardiovascolare

Diete “low-carb”. Complessivamente, ben 21 meta-analisi su 80 hanno valutato le diete “low-carb”. La loro efficacia sulla perdita di peso si è messa in luce soprattutto nel breve periodo (1-6 mesi) e negli studi che prevedevano una maggiore restrizione dei carboidrati. Oltre i 6 mesi di intervento le differenze rispetto alle diete di controllo si riducevano infatti notevolmente, fino ad annullarsi nella maggior parte dei casi.
Per quanto riguarda gli altri parametri, i dati suggerivano un possibile effetto positivo sul profilo glicemico e sulla pressione, ma sottolineavano in parallelo un possibile effetto negativo sul profilo lipidico. Per spiegare questo dato, gli Autori ipotizzano che una dieta a basso contenuto di carboidrati induca un minor consumo di verdura, frutta e cereali ricchi di fibra e micronutrienti, a fronte di un aumento del consumo di alimenti di origine animale ricchi di grassi.

Diete iperproteiche. Risultati analoghi alle diete “low-carb” sono stati osservati per le diete iperproteiche: mentre la perdita di peso rispetto alle diete di controllo era limitata, veniva evidenziato un possibile effetto negativo sul colesterolo LDL e sul profilo glicemico, probabilmente per gli stessi motivi già ricordati a proposito delle diete “low-carb”. Complessivamente la qualità metodologica delle 8 meta-analisi disponibili è stata valutata come “criticamente bassa”.

Diete ipolipidiche. Negli studi condotti con diete ipolipidiche, l’assunzione di grassi concessa era inferiore al 30%, come del resto raccomandato dalle linee guida per una sana alimentazione. Alcune meta-analisi riportavano effetti positivi, in particolare sul peso e sull’indice di massa corporea; in altre veniva invece evidenziato un possibile peggioramento della colesterolemia HDL e della trigliceridemia.
Questo dato va sottolineato, perché conferma una volta di più quanto la qualità dei grassi assunti (adeguando comunque le quantità alle indicazioni delle linee guida) sia la caratteristica da privilegiare in un’alimentazione corretta.

Dieta a basso indice/carico glicemico. Un piano alimentare che si focalizza più sulla qualità che sulla quantità di specifici nutrienti (i carboidrati) è la dieta a basso indice/ carico glicemico. Al momento più evidenze epidemiologiche suggeriscono una riduzione del rischio cardiometabolico nei soggetti che privilegiano il consumo di carboidrati complessi, a basso indice glicemico. La valutazione delle meta-analisi disponibili ha evidenziato che questo profilo alimentare si traduce in effetti positivi su tutti i parametri analizzati, con l’eccezione della colesterolemia HDL e della pressione diastolica. Come per le diete “low-carb”, però, questi effetti si sono evidenziati soprattutto nel breve periodo (1-6 mesi).

Dieta paleolitica. In anni recenti la dieta paleolitica ha guadagnato consensi tra il pubblico. Questo regime propone il consumo esclusivo di alimenti derivanti da caccia, pesca e dal raccolto di frutti o piante spontanee. Gli studi che riportano possibili effetti benefici di questa dieta sono stati però condotti su pochi soggetti, portatori di condizioni patologiche estremamente diverse, seguiti per tempi brevi. Non si può escludere, infine, che gli Autori presentassero possibili conflitti di interesse.

Digiuno intermittente. Le stesse criticità sono comuni anche alle diete a digiuno intermittente (o restrizione calorica intermittente), oggi molto popolari, per le quali il numero di trial clinici è ancora molto limitato. Nonostante la pubblicazione di 6 meta-analisi sull’argomento, infatti, il numero massimo di soggetti considerati in ciascuna è di poco superiore a 600. Una sola di queste meta-analisi, inoltre, evidenziava una lieve riduzione dei livelli di insulinemia, mentre nelle altre cinque non era possibile evidenziare alcuna superiorità della restrizione calorica intermittente rispetto alla restrizione calorica continua.

Dieta Mediterranea e DASH. Le prove più consistenti di un effetto benefico sulla salute sono state invece osservate per due modelli alimentari: la Dieta Mediterranea e l’approccio DASH (Dietary Approaches to Stop Hypertension). Entrambi i profili alimentari prevedono un prevalente apporto di frutta, verdura, pesce e frutta oleaginosa. Negli studi di epidemiologia osservazionale, una maggiore aderenza a queste diete è stata associata a un minor rischio di eventi cardiovascolari, diabete di tipo 2 e patologie oncologiche.
In questa umbrella review, la Dieta Mediterranea è stata l’unica a mostrare effetti benefici significativi su tutti i parametri analizzati, senza alcuna evidenza di potenziali effetti negativi. Inoltre, in termini di numerosità dei campioni di popolazione coinvolti, solamente per la Dieta Mediterranea e per le diete “low-carb” sono state identificate meta-analisi riferite a più di 2.500 soggetti. Per la DASH, pur non essendo stati evidenziati potenziali effetti negativi, sono disponibili meno studi e sono stati analizzati meno parametri.
Un cenno meritano anche gli altri pattern alimentari, come la dieta Nordica, le diete vegetariane e la dieta Portfolio: pur in presenza di dati che suggeriscono effetti positivi, sono però necessari ulteriori studi, perché il numero di soggetti studiati è ancora insufficiente per trarre conclusioni definitive.

La Dieta Mediterranea promossa per il secondo anno a pieni voti

I risultati di questa umbrella review confermano la classifca americana Best Diets Ranking 2020, stilata dalla rivista specializzata statunitense U.S. News & World’s Report. Per il secondo anno consecutivo, il panel di esperti di diverse discipline, chiamato a giudi-care i diversi approcci dietetici (https://health.usnews.com/best-diet/best-diets-overall), ha confermato il primato della Dieta Mediterranea come il regime alimentare migliore e più sano del mondo. Seguono la DASH e la dieta fexitariana (in cui sono concessi occa-sionali consumi di carni rosse).
Tale classifca, che si basa su molti e diversi parametri (tra cui l’effetto sul peso, la facilità di adesione e la salubrità complessiva), ha visto prevalere la Dieta Mediterranea (con 4,2 punti su un totale di 5) nel gruppo di oltre 35 regimi dietetici considerati. A determi-nare il primato sono stati gli effetti positivi non solo sulla perdita ponderale e sul control-lo del peso a lungo termine, ma anche sulla salute cardiovascolare e sulla prevenzione metabolica (diabete di tipo 2).

 

Conclusioni

  • Per chiarire il rapporto tra diversi approcci dietetici e ricadute positive sulla salute cardiometabolica, il Gruppo di Lavoro Giovani della Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) ha condotto una umbrella review su 80 meta-analisi che hanno valutato 11 diete. Va detto che la qualità metodologica della gran parte di queste meta-analisi è risultata scarsa.
  • Nonostante i potenziali meccanismi biologici che suggeriscono una maggiore efficacia di alcune diete rispetto ad altre nella promozione della perdita ponderale, questa umbrella review suggerisce che, a prescindere dal tipo di dieta utilizzato, è la riduzione dell’apporto energetico a tradursi quasi sempre in una perdita di peso.
  • L’effetto sui fattori di rischio cardiometabolico, invece, appare più eterogeneo. Alcuni dei modelli alimentari analizzati hanno infatti evidenziato possibili effetti collaterali non favorevoli, in particolare sul profilo lipidico.
  • Tra tutte le diete analizzate da questa umbrella review, la Dieta Mediterranea e la DASH (Dietary Approaches to Stop Hypertension) sono risultate le più bilanciate, in quanto prevedono il consumo di tutti i gruppi alimentari e favoriscono l’apporto di verdura, frutta, frutta oleaginosa, cereali integrali e pesce. Inoltre, entrambe sono risultate le migliori per gestire il peso e per prevenire le malattie croniche non trasmissibili, prima di tutto il diabete di tipo 2.
  • Al contrario, diete drastiche o squilibrate dal punto di vista nutrizionale e, tra queste, le diete iperproteiche o la dieta paleolitica, non solo non risultano più efficaci rispetto ad altre nel promuovere la perdita di peso nel lungo periodo, ma possono indurre anche effetti indesiderati su alcuni parametri rilevanti, primo tra tutti il profilo lipidemico.
  • Infine, le evidenze a supporto di altri modelli alimentari, come la dieta vegetariana o la dieta nordica, sono ancora troppo limitate.

Bibliografia di riferimento

Barnard ND, Willett WC, Ding EL. The misuse of meta-analysis in nutrition research. JAMA 2017;318:1435-6.

Dinu M, Pagliai G, Angelino D, et al; on behalf of the Working Group “Young Members” of the Italian Society of Human Nutrition (SINU). Effects of popular diets on anthropometric and metabolic parameters: an umbrella review of meta-analyses of randomized controlled trials. Adv Nutr 2020. https://doi.org/10.1093/advances/nmaa006.

Ioannidis JP. The mass production of redundant, misleading, and conflicted systematic reviews and meta analyses. Milbank Q 2016;94:485-514.

 

 Scarica questo articolo

L'Intervista all'Esperto: Marco Malavolta

Dai risultati dello studio Mark-Age la conferma del ruolo dello stile di vita nella prevenzione dell’invecchiamento

di Fabio Fioravanti

Uno studio italiano riconferma che alcune scelte alimentari possono fare la differenza nel rallentare i processi di invecchiamento e le malattie correlate: e i dati portano nuovamente verso la dieta mediterranea, ricca in frutta e cereali integrali.

Lo studio, pubblicato su Nutrients lo scorso dicembre, fa parte del progetto Mark-Age, centrato sui più promettenti marker di invecchiamento, ed è stato svolto da un panel di ricercatori che vede in prima fila Maurizio Cardelli, Robertina Giacconi e Marco Malavolta dell’Advanced Technology Center for Aging Research, IRCCS INRCA, Ancona.

 
DOMANDA: Dottor Malavolta, ci spiega prima di tutto che cos’è il Progetto Mark-Age?

RISPOSTA: Mark-Age è un grande progetto, finanziato nel 2008 dalla Comunità Europea con lo scopo di individuare i biomarcatori di invecchiamento nell’uomo, a cui collaborano ben 26 partner di ricerca, tra cui noi dell’INRCA-IRCCS1,2. L’approccio innovativo del progetto è stato quello di includere nel reclutamento (in tutto circa 3.200 volontari da tutta Europa di età compresa tra 35-75 anni) oltre a soggetti reclutati random dalla popolazione generale, i figli dei centenari e i rispettivi coniugi. In tal modo si è potuto disporre di un modello di invecchiamento ritardato, in quanto i figli dei centenari vivono mediamente più a lungo della media della popolazione, e di un affidabile controllo per valutare l’influenza dell’ambiente (i rispettivi coniugi).
Lo studio ha permesso di creare un innovativo indice di età biologica basato sull’integrazione di marcatori biochimici, epigenetici e molecolari.

D.: Che cosa sono i marcatori epigenetici, e più in generale, che cos’è l’epigenetica?

R.: Possiamo immaginare l’epigenetica come lo studio delle “decorazioni” del nostro DNA che consentono di stabilire quali geni sono spenti e quali accesi (cioè espressi). È grazie a questi meccanismi che le nostre cellule si differenziano in neuroni, epatociti o cellule endoteliali, che hanno struttura e funzioni completamente differenti nonostante il loro DNA sia identico.
La cosa interessante dell’epigenetica è che queste “decorazioni” possono essere influenzate dall’alimentazione, dai farmaci, dagli stili di vita, e in generale, quindi, da quelle che definiamo influenze ambientali.

D.: Esiste una correlazione tra le modificazioni epigenetiche del patrimonio genetico e l’invecchiamento dell’organismo?

R.: L’invecchiamento è fortemente associato ad alcuni cambiamenti epigenetici del DNA, e specialmente della sua metilazione. Ad oggi sono state derivate diverse formule matematiche in grado di stimare l’età biologica di una persona, basate sul grado di metilazione di diversi loci del suo DNA. Alcune utilizzano pochi loci, mentre altre più accurate ne utilizzano centinaia3.
Di queste formule, non sorprende solo l’elevato grado di correlazione che hanno con l’età cronologica degli individui (mai raggiunto da nessun altro marcatore di invecchiamento) ma, soprattutto, la loro capacità di predire la mortalità e il rischio di numerose patologie. Ancora non è chiaro il vero significato di questi cambiamenti epigenetici per quanto concerne l’invecchiamento (ad esempio non sappiamo se ne sono la causa o se sono invece conseguenza di altri fenomeni che non conosciamo ancora), e né tantomeno come e quanto sia possibile intervenire per modificarli: ma è ben chiaro che si tratta di fenomeni di grande importanza nella valutazione di futuri interventi mirati a migliorare la salute dell’uomo.

D.: Che cos’è l’ipometilazione e perché può essere correlata all’invecchiamento?

R.: Tra i cambiamenti epigenetici più caratteristici dell’invecchiamento, si osserva un generalizzato livello di bassa metilazione del DNA (ipometilazione), combinato al fenomeno opposto (ipermetilazione) di specifici loci.
Facciamo un passo indietro: la metilazione del DNA consiste nel legame di un gruppo metile ad una delle basi (le “lettere”) che lo costituiscono. Nella quasi totalità dei casi, nell’uomo, questa base è la citosina, e la metilazione riguarda una citosina seguita da una guanina: una sequenza presente con maggiore densità nelle regioni del DNA che regolano l’espressione dei geni.
Quando ci sono molte citosine metilate nella regione di DNA che regola l’attività di un gene, è probabile che l’espressione di quel gene sia soppressa (ovvero che il gene sia “spento”), mentre quando il grado di metilazione è basso è probabile che il gene sia espresso. Quindi, se il grado generale di ipometilazione aumenta, è ragionevole aspettarsi che alcuni geni che normalmente dovrebbero essere repressi tendano invece ad essere espressi.
La maggior parte della metilazione nel DNA genomico umano avviene in sequenze ripetitive, tra cui alcuni elementi che definiamo Alu: ed è proprio l’ipometilazione degli elementi Alu che è stata riscontrata nell’invecchiamento ed è associata alla gravità di malattie età-correlate come il diabete, il cancro, l’osteoporosi e le malattie cardiovascolari4. È interessante notare che l’ipometilazione e l’età epigenetica sono ritardate nei figli dei centenari.

D.: Dunque una ridotta metilazione di questi tratti di DNA sembra associata alle tipiche malattie correlate all’invecchiamento. Ci parli adesso dello studio che avete realizzato: che cosa è emerso?

R.: Lo studio preliminare che abbiamo effettuato all’INRCA-IRCCS sull’influenza dei fattori nutrizionali nella metilazione di Alu è stato condotto su un sottogruppo di volontari reclutati in Italia nell’ambito del progetto Mark-Age, inclusi i figli di nonagenari/centenari5. In questo nostro studio preliminare che analizzava sessanta soggetti reclutati dalla popolazione generale e trentadue figli di nonagenari abbiamo dimostrato che questi ultimi hanno un livello di metilazione di Alu preservato rispetto ai controlli di pari età (55-75 anni). Questo potrebbe preservare la stabilità genomica nei figli dei nonagenari, contribuendo a spiegare il ritardo nell’insorgenza di malattie legate all’età e la loro prolungata sopravvivenza.
Inoltre, abbiamo trovato che la metilazione di Alu in un sito specifico può essere influenzata, per quanto concerne l’alimentazione, da un aumento del consumo di frutta e di pane integrale, suggerendo così che interventi dietetici mirati potrebbero essere utili per migliorare la stabilità genomica e promuovere la longevità. Ma naturalmente serviranno ulteriori indagini su popolazioni più ampie per confermare i nostri risultati e meglio comprendere gli effetti di specifici nutrienti nella regolazione epigenetica di Alu.

D.: Fino a che punto le scelte alimentari contribuiscono a modificare l’aging sulla base dei riscontri misurabili con i marker?

R.: L’influenza della dieta sull’invecchiamento è stata oggetto di moltissimi studi. Tra i più importanti quelli effettuati in modelli sperimentali soggetti a restrizione calorica (ovvero la riduzione di un 10-30% di calorie senza che ci sia malnutrizione o carenza di nutrienti essenziali). La restrizione calorica è l’unico intervento che, in modo riproducibile, è riuscito ad allungare la vita in salute negli invertebrati e nei roditori; qualche effetto favorevole è stato osservato perfino nelle scimmie6. Alcuni studi effettuati su roditori sottoposti a restrizione calorica mostrerebbero un rallentamento dei cambiamenti epigenetici associati all’età.
Nell’uomo gli effetti della restrizione calorica non sono ancora chiari; purtroppo, salendo nella scala evolutiva, gli effetti positivi sembrano diminuire. Sappiamo, inoltre, che diete abbondanti di calorie, indipendentemente che provengano da grassi o zuccheri, soprattutto se associate a uno scarso consumo di prodotti vegetali freschi, possono avere effetti negativi sulla salute.
Al momento non disponiamo di marcatori di salute, soprattutto marcatori epigenetici, sufficientemente affidabili da permetterci di valutare l’impatto della dieta sull’invecchiamento. Probabilmente non ha nemmeno molto senso attribuire a specifici alimenti proprietà miracolose, in grado di rallentare l’invecchiamento: tutto dipende dalle quantità e dal contesto di riferimento (altri alimenti, stile di vita, attività fisica, composizione del microbiota intestinale).

 

Consigli sulla dieta in ottica epigenetica: seguire la Dieta Mediterranea

«Probabilmente» spiega Marco Malavolta «seguire la dieta mediterranea e accompagnar-la a uno stile di vita sano con attività fsica moderata è al momento il consiglio migliore che si possa dare. Sperare di ottenere miracoli di longevità consumando supplementi o alimenti che hanno dimostrato di infuenzare in qualche modo l’epigenetica è infatti, per ora, privo di senso e in alcuni casi può essere anche pericoloso. Alcuni integratori venduti online per le loro proprietà antiossidanti e anti-invecchiamento, per esempio, secondo un nostro studio condotto in collaborazione con gruppi di ricerca americani, non solo non mostrano effetti evidenti sulla longevità nel topo, ma possono addirittura, durante lo stoccaggio, dare origine a composti tossici per la salute».

Bibliografia

1Bell CG, Lowe R, Adams PD, et al. DNA methylation aging clocks: challenges and recommendations. Genome Biol 2019;20:249.

2Bürkle A, Moreno-Villanueva M, Bernhard J, et al. MARK-AGE biomarkers of ageing. Mech Ageing Dev 2015;151:2-12.

3Cardelli M. The epigenetic alterations of endogenous retroelements in aging. Mech Ageing Dev 2018;174:30-46.

4Giacconi R, Malavolta M, Bürkle A, et al. Nutrition al Factors Modulating Alu Methylation in an Italian Sample from The Mark-Age Study Including Offspring of Healthy Nonagenarians. Nutrients 2019;11:2986.

5Fontana L, Partridge L, Longo VD. Extending healthy life span from yeast to humans. Science 2010;328:321-6.

6Moreno-Villanueva M, Kötter T, Sindlinger T, et al. The MARK-AGE phenotypic database: structure and strategy. Mech Ageing Dev 2015;151:26-30.

 

 Scarica questo articolo

La Scheda

Peperone e peperoncino

Coltivato in tutto il mondo, il peperone (Capsicum L.) è una pianta appartenente alla famiglia delle Solanacee originaria del Sudamerica, importata in Europa e dunque in Italia dalla seconda metà del Cinquecento. I suoi frutti, tipici della stagione estiva, sono in effetti delle bacche consumabili sia cotte che crude. In base alla minore o maggiore quantità di capsaicina, un alcaloide responsabile della piccantezza contenuto nei semi e nella polpa, si distinguono i peperoni dolci da quelli piccanti. Questi ultimi, comunemente detti peperoncini, sono utilizzati per lo più come spezia soprattutto nelle regioni meridionali del nostro Paese.

Che cosa contiene

I peperoni sono composti in gran parte da acqua, contengono una discreta quantità di fibre e sono tra i vegetali più ricchi di vitamina C.
Soprattutto nel peperoncino piccante e nelle colorazioni gialle e rosse è elevato il contenuto di flavonoidi e di carotenoidi antiossidanti.
Inoltre, il frutto maturo apporta un buon quantitativo di potassio che, insieme alle vitamine, si riduce notevolmente con la cottura.
Il prodotto lavorato con aceto, tipico della tradizione culinaria italiana, si distingue generalmente anche per il più elevato tenore di sodio.

 

Che cosa bisogna sapere

Studi epidemiologici hanno evidenziato un’associazione positiva tra il consumo abituale di peperoncino piccante e una possibile riduzione del rischio di mortalità cardiovascolare, che è stata messa in relazione con la presenza di capsaicina. Nota già per gli effetti sulla funzione digestiva e sull’apparato gastrointestinale, è da alcuni anni oggetto di studio come antinfiammatorio, analgesico e potenziale coadiuvante nel controllo del peso. Rispetto alle altre solanacee, i peperoni dolci contengono quantità minime di solanina, un glicoalcaloide tossico che la pianta produce come meccanismo di difesa.

 

    Scarica questo articolo

Glossario

  • Carboidrati

    Rappresentano la principale fonte energetica della dieta. Sono di due tipi: semplici e complessi. I semplici sono gli zuccheri, i complessi includono amido e fibra. Forniscono 4 calorie per grammo. Si trovano naturalmente in pane, cereali, frutta, verdura, latte e latticini. Torte, biscotti, gelati, caramelle, succhi di frutta e altri alimenti di questo tipo sono ricchi di zuccheri.

  • Metanalisi

    Tecnica che combina i risultati di molti studi, di impianto simile e che hanno esaminato quesiti simili, per aumentare la numerosità del campione di valori su cui si ragiona e quindi l'affidabilità delle conclusioni.

  • Dieta mediterranea

    Regime alimentare a base di cereali integrali, legumi, ortaggi, frutta, olio d'oliva.

  • Infiammazione

    Complesso di reazioni che si verificano localmente in risposta ad un agente lesivo. Clinicamente è caratterizzata da 4 sintomi: tumefazione, arrossamento, aumento della temperatura localmente, dolore.

  • Colesterolo

    Presente nel sangue, costituente essenziale della membrana cellulare, interviene nella formazione degli ormoni sessuali e corticosteroidei e dei sali biliari. Può essere di origine esogena (alimentare) ed endogena (sintesi epatica). Nel sangue il colesterolo è veicolato tramite i trigliceridi e le lipoproteine (HDL e LDL).

  • Trigliceridi

    Sono sostanze lipidiche (grasse) che circolano nel sangue; la loro struttura è caratterizzata da una molecola di glicerolo a cui sono legate (esterificazione) tre molecole di acidi grassi; originano, in parte, dai grassi assunti con l'alimentazione, in parte vengono prodotti nel fegato e nel tessuto adiposo a partire da carboidrati.

  • Pressione arteriosa

    Pressione del sangue nelle arterie dovuto all'attività contrattile del muscolo cardiaco e alla resistenza vascolare periferica, distinta in sistolica o massima e diastolica o minima.

  • Carico glicemico

    Il carico glicemico (Glycemic Load, GL) è il prodotto dell'indice glicemico medio della dieta giornaliera per la quantità totale di carboidrati consumati in una giornata. E' quindi un indice sia di qualità che di quantità dei carboidrati ed ha lo scopo di valutare l'effetto complessivo della dieta sulla glicemia.

  • Indice glicemico

    L'Indice Glicemico (Glycemic Index, o GI della letteratura anglosassone) è un indice della risposta glicemica indotta, nello stesso soggetto, da una quantità specifica di carboidrati in rapporto a un’equivalente quantità di carboidrati proveniente da un alimento standard.

  • Diabete

    Una patologia che si verifica quando l’organismo non è in grado di utilizzare il glucosio ematico. I livelli di glicemia sono controllati dall’insulina, un ormone prodotto dall’organismo che favorisce l’ingresso del glucosio nelle cellule muscolari e adipose. Il diabete insorge quando il pancreas non produce abbastanza insulina o l’organismo non risponde all’insulina che è stata prodotta.

  • Correlazione

    Valutazione della relazione esistente tra differenti variabili, che non implica necessariamente un rapporto di causa ed effetto tra loro. Il tipo di relazione più frequentemente studiato è quello lineare (una retta in un piano cartesiano) in questo caso la forza della correlazione viene espressa con un numero (r) che varia da -1 (la maggiore correlazione negativa possibile) a +1 (la maggiore correlazione positiva possibile) un valore pari a 0 indica assenza di qualsiasi correlazione.

  • Osteoporosi

    Rarefazione del tessuto osseo per diminuzione dell'attività degli osteoblasti, legata all'età o a malattie.

NFI - Nutrition Foundation of Italy - Viale Tunisia 38, 20124 Milano - info@nutrition-foundation.it
C.F./P.IVA 04062430154 - r.e.a 1510419

Copyright 2021 Nutrition Foundation of Italy. All Right Reserved.

Disclaimer Privacy Mappa del sito

Web by e-Project.it