Condimento, ingrediente di salse e piatti gourmet, garante di salubrità delle conserve alimentari, in alcune culture assunto (diluito) come bevanda, l’aceto si candida anche al ruolo di alimento funzionale. La letteratura nutrizionale disponibile, pur con alcuni aspetti che andranno meglio chiariti, suggerisce di cogliere le opportunità di benessere offerte da questo prodotto millenario, come componente di un’alimentazione basata su equilibrio e varietà.
Cenni di produzione e materie prime
Si deve risalire a circa diecimila anni fa per reperire i primi riferimenti noti ai possibili impieghi dell’aceto, apprezzato e utilizzato in cucina, come in medicina, senza soluzione di continuità fino al primo Novecento.
Oggi l’aceto dev’essere ottenuto esclusivamente, secondo quanto prescritto dal Codex Alimentarius (che, come precisa il MIPAAF, è “l’insieme di linee guida e codici di buone pratiche, standardizzate a livello internazionale, che contribuisce al miglioramento della sicurezza, qualità e correttezza del commercio mondiale di alimenti”) da prodotti “che contengono amidi e/o zuccheri, (che) mediante un processo di doppia fermentazione sequenziale, alcolica e acetica, (vengono trasformati) con formazione prima di etanolo e poi di acido acetico”.
Le materie prime di partenza sono quindi molteplici. In Italia e in generale nel bacino mediterraneo, l’aceto più consumato è quello di vino (rosso, bianco o rosé di qualità, con gradazione alcolica non superiore al 7-9%, per non interferire con il successivo sviluppo degli Acetobacter); nell’Europa del Nord le materie prime più utilizzate sono le mele (e il sidro), o altri frutti e frutti di bosco, la birra, il malto, vari distillati e superalcolici; patate e kombucha (tè dolcificato e fermentato) sono gli alimenti di partenza caratteristici degli aceti nipponici; nell’elenco degli aceti asiatici non può mancare l’aceto di riso, base dell’alimentazione di quasi tutti i paesi orientali. Il Sud-Est asiatico utilizza anche il cocco mentre, nelle diverse realtà geografiche, si utilizzano dragoncello, pomodoro, canna da zucchero, siero di latte, miele, melassa.
In estrema sintesi, la produzione di un aceto di qualità prevede pochi, indispensabili passaggi.
- La materia prima viene sottoposta a una prima fermentazione alcolica, in assenza di aria, grazie all’inoculazione di lieviti, in genere di Saccharomyces cerevisiae. Questo passaggio iniziale richiede un’adeguata presenza di zuccheri.
- A questa prima fase segue la seconda, definita “fermentazione acetica” (anche se, in realtà, si tratta di un processo ossidativo) che prevede l’aggiunta di ceppi della famiglia delle Acetobacteriaceae, prevalentemente Gram negativi e il contatto con l’ossigeno (aria).
Il pH ottimale per crescita di questi batteri oscilla tra 5 e 6,5 e la temperatura migliore è compresa tra 25° e 30°C (con una tolleranza, per alcuni ceppi, da 18° a 34°C).
La quantità di ossigeno fornita durante il processo influisce sia sulla velocità della fermentazione, sia sulle caratteristiche sensoriali del prodotto finale. - All’ottenimento dell’aceto grezzo seguono filtrazione, maturazione e confezionamento.
I tempi di ottenimento dell’aceto variano dalle poche ore sufficienti all’industria, che accelera i processi di ossidazione, al mese (o più) indispensabile per l’aceto ottenuto con il metodo convenzionale (detto anche Orléans), a cui si ricorre anche in ambiente domestico.
L’aceto di alcol
Economico e ampiamente utilizzato per la pulizia e l’igiene domestica, l’aceto bianco distillato deriva dalla fermentazione acetica di un distillato alcolico, a sua volta ottenuto dalla fermentazione alcolica di soluzioni zuccherine.
Oltre che per l’uso domestico, questo aceto incolore viene impiegato in alcuni Paesi per la conservazione degli alimenti, dato il suo basso costo. Per sua natura, l’aceto di alcol ha una concentrazione alcolica superiore a quella degli altri aceti.
Componenti principali e attività antibatterica
L’aceto è principalmente, ma non soltanto, una soluzione acquosa di acido acetico. Questo acido organico deve essere presente in quantità ben determinate: per esempio, per quanto riguarda l’aceto di vino commercializzato nella Comunità Europea, il tenore di acidità totale, espressa in acido acetico, non può essere inferiore a 60 g/L (Regolamento UE 1308/2013); la FDA (Food and Drug Administration) statunitense richiede invece che il prodotto “aceto” (quale che sia la materia prima) debba contenere un minimo di 4 g di acido acetico ogni 100 mL.
Come detto, accanto all’acido acetico è necessario considerare altre componenti (Tabella): acidi organici diversi, acido acetico, polifenoli, zuccheri, fitosteroli, vitamine (vitamina C, vitamina E e vitamine del gruppo B), aminoacidi, minerali (fino a 20, in alcuni aceti invecchiati tradizionali) e componenti che si sviluppano durante la fermentazione e l’invecchiamento, come le melanoidine o la ligustrazina.
Anche gli aceti più invecchiati, o l’aceto di sherry, l’aceto balsamico e l’aceto di mele, garantiscono un elevato contenuto di componenti bioattivi.
Proprio su queste caratteristiche, si è focalizzata l’attenzione della ricerca negli ultimi decenni, oltre che sulle valenze antibatteriche e antinfettive, ben conosciute e utilizzate nei secoli.
Proprietà antibatteriche e antinfettive. I principali componenti dell’aceto, acidi organici, polifenoli, melanoidine, concorrono alle sue proprietà battericide, penetrando e poi distruggendo le membrane cellulari dei batteri. Fino alle prime dimostrazioni degli studi di Pasteur e Koch, però, l’impiego degli aceti come antibatterici, antinfettivi e conservanti alimentari era stato empirico e basato sull’osservazione.
Oggi sappiamo che un aceto di frutti contenente lo 0,1% di acido acetico è in grado di impedire, negli alimenti conservati, lo sviluppo di batteri potenzialmente letali, dall’Escherichia coli O157:H7, a ceppi di Salmonelle, dal Vibrio parahaemolythicus, allo Staphilococcus aureus al Bacillus cereus.
Aggiunto all’acqua di lavaggio delle verdure e lasciato agire, l’aceto contribuisce a eliminare patogeni dannosi.
Trova oggi conferme nella ricerca l’impiego sistemico proposto da Ippocrate: gli aceti di cereali e l’aceto di mele inibiscono anche la crescita di alcuni patogeni respiratori; infine l’aceto di sidro di mele controllerebbe la crescita di alcune specie di Candida, responsabili dello sviluppo di stomatiti da protesi dentale.
L’azione conservante dell’aceto va attribuita anche alla presenza, variabile da aceto e aceto, dei composti bioattivi antiossidanti, che contribuiscono all’efficacia preservante.
Cenni sull’aceto balsamico, eccellenza nazionale
L’aceto balsamico è uno dei molti prodotti italiani tipici. Le sue caratteristiche, come è noto, sono del tutto diverse da quelle dell’aceto tradizionale: di cui non condividono, in primis, l’acidità. È necessario inoltre distinguere tra prodotto tradizionale DOP, prodotto IGP e aceto balsamico generico.
La materia prima per la produzione di aceto balsamico tradizionale è il mosto d’uva concentrato a caldo da cultivar Trebbiano. Nel caso degli aceti balsamici tradizionali di Modena e di Reggio Emilia, prodotti DOP, la dicitura Denominazione di Origine Protetta deve essere riportata per esteso in etichetta. La produzione e l’affinamento richiedono botticelle di legno (gelso, frassino, ciliegio, castagno e rovere), che vengono utilizzate in sequenza e devono corrispondere al numero degli anni di invecchiamento: almeno 12.
L’aceto balsamico di Modena IGP (Indicazione Geografica Tipica, che deve essere riportata in etichetta, anche in forma abbreviata) viene invece prodotto con aceto, zuccheri e mosto d’uva, concentrato o cotto, ed eventualmente con coloranti e caramello.
Dal punto di vista della composizione chimica, gli aceti DOP presentano un maggior contenuto di fenoli, flavonoidi e tannini, e quindi una maggiore attività antiossidante rispetto agli aceti balsamici di Modena IGP.
Infine, un cenno va fatto all’aceto balsamico generico e alle glasse, che vengono prodotti con aceto di vino, zuccheri e mosto e possono contenere coloranti, aromi, addensanti, emulsionanti e conservanti.

Il contributo dell’aceto per benessere e salute
Sembra che il consumo regolare di aceto, seppure con un apporto quotidiano limitato in quantità, contribuisca al complesso degli effetti positivi che la Dieta Mediterranea esercita sul metabolismo glucidico e lipidico, e persino sul controllo ponderale.
I dati raccolti sinora, pur non permettendo di trarre conclusioni definitive, sostengono l’opportunità di condurre ricerche meglio disegnate e mirate, per inquadrare con chiarezza eventuali impieghi specifici, ma anche i limiti d’uso di questo alimento millenario.
- Metabolismo glucidico. Le osservazioni iniziali sono state raccolte in soggetti sani, nei quali l’assunzione di aceto (10-20 g, cioè 2-4 cucchiai da tavola) immediatamente prima di un pasto ad alto carico glicemico (per esempio pane bianco, pasta, patate) riduce le risposte glicemica e insulinemica postprandiali.
È ben noto del resto che condire con vinaigrette (aceto, olio, sale) le patate bollite e lasciate raffreddare, ne riduce l’indice glicemico.
Questo effetto non si manifesta invece se il pasto, pur ad alto indice glicemico, è a base di uno zucchero semplice (come il glucosio), oppure se il pasto è ricco di fibre; anche la contemporanea ingestione di bicarbonato (antiacido) neutralizza l’effetto dell’aceto sulla risposta glicemica.
Osservazioni altrettanto interessanti emergono dagli studi condotti in soggetti che, nonostante una dimostrata insulinoresistenza, mantengono intatta la secrezione pancreatica: l’assunzione di aceto prima di un pasto ad alto contenuto di carboidrati migliora infatti la sensibilità all’insulina. Tale effetto è mantenuto, sebbene in modo marcato, anche nei soggetti che hanno già sviluppato diabete di tipo 2.
In questa stessa categoria di persone, l’assunzione di aceto di mele prima di coricarsi può concorrere al controllo della glicemia al risveglio. Ancora: l’assunzione ai due pasti principali di 1,4 g di acido acetico riesce a ridurre in modo significativo nel tempo il valore di emoglobina glicata (HbA1c), marcatore fondamentale per il controllo dell’omeostasi glicemica. Infine, assunto prima del pasto, l’aceto sembra migliorare l’assorbimento di glucosio da parte dei muscoli, riducendo quindi iperglicemia e iperinsulinemia postprandiali.
Alla base di questi effetti sarebbe soprattutto la capacità dell’acido acetico di rallentare lo svuotamento gastrico, dimostrata inizialmente in pazienti con diabete di tipo 1 e solo successivamente anche nei soggetti con diabete di tipo 2; inoltre, l’aceto inibirebbe parzialmente l’attività gli enzimi (disaccaridasi) preposti alla digestione dei carboidrati, migliorerebbe la sensibilità insulinica e la funzione endoteliale (grazie probabilmente al contenuto di ligustrazina, di cui è nota l’attività antiaggregante piastrinica e vasodilatante), favorirebbe l’immagazzinamento dei carboidrati sotto forma di glicogeno. - Metabolismo lipidico. Gli studi sulle ricadute dell’apporto di aceto sul profilo lipidico hanno utilizzato prevalentemente aceto di mele. Da citare è innanzitutto una ricerca condotta su soggetti normopeso con iperlipidemia, da cui emerge come l’assunzione di 30 mL di aceto di mele due volte al giorno per 8 settimane riduca in modo significativo la colesterolemia totale e LDL e la trigliceridemia. Su quest’ultimo parametro, un altro studio ha dimostrato l’efficacia di soli 15 mL al giorno di aceto di mele in persone obese.
- Controllo ponderale. È stato osservato che l’assunzione di aceto, oltre a rallentare lo svuotamento gastrico, aumenta il senso di sazietà e il consumo di energia. Questi effetti potrebbero rendere ragione dei risultati ottenuti nel controllo ponderale con un apporto regolare di aceti ottenuti da frutti, mentre con gli aceti da materie prime cerealicole i risultati sono meno evidenti.
Anche in questo caso, le ricerche più citate sono state condotte con aceto di mele su soggetti obesi, sia ancora sani e sia ipertesi. In uno studio condotto su 155 persone con BMI compreso tra 25 e 30, altrimenti sane, nel gruppo che assumeva 30 mL al giorno di aceto di mele per 12 setti.mane si è osservata una riduzione ponderale pari a 1,6 kg, a confronto con il gruppo di controllo; la perdita di peso era accompagnata dalla riduzione del BMI, della misura del girovita e del grasso viscerale.
In un altro studio, il consumo quotidiano di aceto di mele prima del pasto ha indotto, nell’arco della giornata, una riduzione dell’apporto calorico compreso tra 200 e 275 calorie in soggetti sovrappeso o obesi. In un’altra ricerca, l’aggiunta di 30 mL al giorno di aceto di mele ad una dieta con restrizione calorica per 12 settimane ha comportato risultati migliori in termini di perdita di peso, senso di sazietà, circonferenza addominale e adiposità viscerale, sempre in soggetti sovrappeso o obesi, rispetto al gruppo di controllo. - Assorbimento del calcio. L’aceto favorisce l’assorbimento degli ioni calcio. A livello intestinale, infatti, la combinazione tra ioni calcio e acetato a formare acetato di calcio, è favorita dalla variazione di pH tra stomaco e intestino. Il calcio come acetato viene poi rapidamente assorbito.
Aceto in difesa della salute: cenni storici
Dell’uso dell’aceto come conservante alimentare abbiamo traccia già in documenti babilonesi e nella Bibbia. Con Ippocrate l’aceto diventa una risorsa comunemente utilizzata per sanare ferite e infiammazioni, ma anche per uso sistemico, come antitussivo e antinfettivo; Medio Evo e Rinascimento mantengono questi impieghi e ne propongono altri, tra cui alcuni decisamente improbabili, come la cura della calvizie o la prevenzione di malattie epatiche. Negli Stati Uniti del XVIII secolo era del resto ritenuto un antifebbrile e un rimedio valido per la laringite difterica e la gastrite.
Testimonianze cinesi, in scritti risalenti alla dinastia Ming (XVI secolo) confermano l’uso dell’aceto per la conservazione alimentare, ma anche per la disinfezione di ambienti (per esempio in occasione di un parto), o per l’efficacia antibatterica nell’uomo.
L’aceto resta nei secoli una risorsa non sostituibile sui campi di battaglia, dove viene utilizzato come antisettico fino a tutta la Prima Guerra mondiale.
Da non dimenticare l’uso diluito che dell’aceto facevano i legionari romani, consumandolo come bevanda che, anche nel Giappone dell’VIII secolo d.C., era ritenuta dai samurai un tonico tale da fornire forza e potere.
Sicurezza d’uso e tollerabilità
In generale, il consumo di aceto di qualità per gli usi correnti, come ingrediente di condimenti, salse, ricette e come conservante è sicuro e ben tollerato.
Nel caso di un’assunzione, anche diluita, di aceto non accompagnato da altri alimenti, come nel corso di alcuni degli studi citati, possono manifestarsi nel tempo (dopo circa sei settimane) alcuni effetti indesiderati, se pure di entità modesta, a carico di stomaco (eruttazione, reflusso, bruciore) e intestino (flatulenza). Il solo aceto puro può risultare invece molto irritante per il distretto orofaringeo e l’esofago: questo tipo di consumo non è quindi opportuno.
Conclusioni
- Gli aceti di qualità, ottenuti sia da frutti e sia da altre materie prime, sono parte integrante dell’alimentazione da millenni.
- Accanto all’uso corrente per insaporire le pietanze, si è presto scoperta la proprietà conservante degli aceti, osservata e documentata già dalla civiltà babilonese.
- I primi documenti noti a certificare le proprietà di salute dell’aceto portano invece la firma di Ippocrate, che ne consigliava l’uso per sanare ferite e piaghe, ma anche come antitussivo e antinfettivo sistemico.
- Fino alle scoperte di Pasteur e Koch, non è stato possibile identificare l’attività antibatterica degli aceti. Oggi sappiamo che l’efficacia come conservante, ma anche come antisettico (fino alla Prima Guerra Mondiale) e come antinfettivo sistemico (uso noto e corrente da Ippocrate al XVIII secolo) va attribuita all’attività battericida su una varietà di microrganismi potenzialmente letali.
- L’aceto per uso alimentare non è soltanto una soluzione acquosa di acido acetico. Contiene infatti componenti bioattivi (la cui varietà dipende dal tipo di aceto e dalle modalità d’invecchiamento), che permettono di ipotizzare un ruolo di questo alimento anche nel mantenimento di benessere e salute.
- Gli studi condotti sinora si sono focalizzati sull’interazione tra apporto di aceto e metabolismo glucidico, o lipidico, ma anche sul ruolo potenziale nelle strategie alimentari di controllo ponderale.
- Si sa che l’aceto, assunto prima di un pasto ad alto carico glicemico, in presenza di alimenti amidacei e con basso contenuto di fibre, riduce le risposte glicemica e insulinemica postprandiali in soggetti sani.
- Anche in soggetti con iperinsulinemia l’assunzione di aceto sembra favorire una migliore risposta metabolica.
- Un altro ambito in cui si sono valutati i possibili benefici dell’aceto riguarda il controllo ponderale. Le osservazioni più numerose sono state raccolte utilizzando aceto di mele. Nuovamente, sono emersi risultati suggestivi, che necessitano però di ulteriori studi, mirati e disegnati con cura, per poter trarre conclusioni definitive.
- In conclusione, l’attenzione della ricerca nutrizionale ai possibili effetti di salute dell’aceto appare giustificata, alla luce delle osservazioni raccolte sinora. Necessita però di approfondimenti e dimostrazioni che possono scaturire soltanto da ricerche ampie, controllate e randomizzate.
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