La relazione tra il consumo dei grassi alimentari e la salute è, da sempre, un tema non semplice da comunicare al pubblico. Ricercatori e clinici concordano sulla difficoltà di trasformare in messaggi fruibili i risultati scaturiti dagli studi; d’altro canto, l’opinione pubblica am.mette di non riuscire a orientarsi con sicurezza in un settore francamente complesso e in rapida evoluzione.
Aiuta a fare chiarezza una meticolosa review, pubblicata su Nutrition Journal da un gruppo di autorevoli ricercatori statunitensi (tra cui Dariush Mozaffarian), nella quale sono ribadite le informazioni più solide e basate sull’evidenza, distinte dagli aspetti ancora allo studio.
Grassi versus carboidrati? Lo scenario anni Ottanta
La cattiva fama dei grassi parte da lontano e si concretizza negli anni ’80 del secolo scorso, con la raccomandazione a ridurne quanto più possibile l’assunzione, soprattutto se saturi. L’elevata densità energetica li rendeva un fa.cile bersaglio per diminuire l’introito calorico quotidiano; inoltre, alcune importanti ricerche avevano messo in luce la relazione tra grassi saturi della dieta e colesterolemia, e quindi tra minore apporto degli stessi saturi e riduzione del rischio cardiovascolare.
La comunicazione al pubblico sfociò in una vera e propria demonizzazione (tale viene de.finita nell’articolo) dei grassi, che si tradusse nella promozione di comportamenti a volte con.troproducenti: per esempio sconsigliando i consumi degli alimenti contenenti grassi (compresi frutta secca a guscio, semi oleosi, oli vegetali, veicoli di grassi metabolicamente favorevoli) si promosse invece, indirettamente, la scelta di cibi a base di carboidrati, compresi quelli più raffinati e ricchi di zuccheri aggiunti, poveri di fibre e micronutrienti, ad alta densità energetica e ad alto indice glicemico.
Secondo gli Autori, questi fattori contribuirono a favorire l’aumento della prevalenza di sovrap.peso, obesità e patologie correlate. Una vera e propria epidemia, macroscopica negli Stati Uniti, su scala appena ridotta in Europa e Australia.
Che cosa è cambiato nelle linee guida
La ricerca invece ha continuato ad approfondire le conoscenze sulle caratteristiche dei lipidi e sulle loro interazioni metaboliche, trasferendole progressivamente nelle linee guida. Si possono citare le linee guida nutrizionali statunitensi per il quinquennio 2015-2020, che hanno spostato l’attenzione dal concetto dei “livelli di assunzione di grassi da non superare (35% dell’energia totale, con un 10% riservato ai saturi)” alla proposta di una “valutazione delle diverse classi lipidiche, da inserire in un’alimentazione complessivamente bilanciata”. A questa indicazione aderisce la Heart and Stroke Foundation canadese che evidenzia infatti la maggiore efficacia della proposta di un profilo alimentare complessivamente bilanciato, piuttosto che la definizione di un limite all’assunzione dei grassi saturi, recependo le conclusioni dei grandi studi di popolazione, compreso il Women’s Health Initiative, in cui si è dimostrato che, al contenimento dell’apporto di grassi al di sotto della quota raccomandata (dal 34 al 29% delle calorie totali), non corrisponde la riduzione del rischio cardiovascolare, metabolico e oncologico.
Le conclusioni delle linee guida USA 2015-2020 ribadiscono infatti che diminuire l’apporto di grassi saturi per sostituirli con carboidrati non riduce il rischio cardiovascolare. L’American Heart Association precisa che le evidenze raccolte in questi anni confermano come “la minore incidenza (cioè il numero di nuovi casi, n.d.r.) di malattie cardiovascolari è associata alla sostituzione dei grassi saturi con una quota isocalorica di lipidi insaturi, privilegiando i polinsaturi”. Un “no” senza appello, per tutte le linee guida in tutto il mondo, va invece agli acidi grassi trans di origine industriale, derivati dalla parziale idrogenazione degli oli, i cui effetti negativi per la salute sono ormai dimostrati.
Tra gli acidi grassi monoinsaturi (o MUFA: Mo-noUnsaturated Fatty Acids), il più noto è l’acido oleico, che è contenuto ad alti livelli nell’olio di oliva, ma è presente in gran parte degli alimenti di uso comune: altri oli vegetali, frutta secca, cibi di origine animale e, in misura minore, nei legu.mi. Come i grassi saturi, i monoinsaturi vengono prodotti a livello del fegato in risposta al consumo di carboidrati: per questo motivo, l’apporto con la dieta non è essenziale. Le linee guida infatti non indicano livelli di assunzione raccomandati, o di riferimento, per questa categoria di grassi.
I polinsaturi (noti anche come PUFA, cioè PolyUnsaturated Fatty Acids) si confermano invece decisivi per il benessere e la salute. Sono polinsaturi gli acidi grassi di origine vegetale come il linoleico, della serie omega-6, e l’alfa-linolenico, della serie omega-3, che l’organismo non è in grado di sintetizzare e deve obbligatoriamente ricavare dagli alimenti (per questo sono definiti essenziali).
L’organismo umano è invece in grado, almeno in parte, di convertire il linoleico e l’alfa-linolenico in acidi grassi a più lunga catena e ancora più in.saturi (cioè, con più doppi legami), che possono anche essere assunti preformati con i cibi che li contengono, prevalentemente di origine animale per i PUFA omega-6, e di origine marina (specie i pesci grassi che vivono nei mari freddi) per i PUFA omega-3.
Le linee guida attuali specificano il range dei livelli di apporto di PUFA utile per ottenere “un profilo alimentare equilibrato e promotore di salute”. Per esempio, in Italia, i LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana, 2014) indicano intervalli di riferimento sia per i PUFA totali, che devono essere compresi tra il 5 e il 10% delle calorie complessive assunte quotidianamente con la dieta e sia per le due diverse categorie di PUFA: per gli omega-6 è previsto un apporto pari al 4-8% dell’energia totale mentre, per gli omega-3, i livelli di assunzione vanno mantenuti tra lo 0,5 e il 2%.
Grazie alle evidenze della ricerca, quindi, la posizione della comunità scientifica nei confronti del rapporto tra acidi grassi e rischio cardiovascolare ha subito, in questi vent’anni, una decisa evoluzione (Tabella 1).

Ancora su grassi e cuore
I grassi saturi non vanno banditi dalla tavola: l’organismo ne ha bisogno per costituire le membrane cellulari, per assorbire le vitamine liposolubili (che, in quanto tali, vengono assunte con gli alimenti dotati di una componente lipidica spiccata), per avvolgere e proteggere gli organi vitali (cuore, fegato, milza). È opportuno invece ridurne l’apporto, sostituendoli con polinsaturi (e monoinsaturi), per proteggere la salute cardiovascolare. La dimostrazione più convincente viene da una metanalisi del 2010 (a firma di Dariush Mozaffarian): dai risultati di 8 studi, per un totale di 13.614 partecipanti, è emerso che, con un apporto di polinsaturi pari al 14,9% delle calorie quotidiane (rispetto a una dieta di controllo in cui i polinsaturi fornivano solo il 5% dell’energia totale), si otteneva una riduzione del rischio coronarico del 19%. Per quanto riguarda i monoinsaturi, i dati più recenti vengono dai ben noti Nurses’ Health Study e Health Professional Follow up Study, nei quali è stata rilevata una riduzione del 5% del rischio cardiovascolare sostituendo i grassi saturi con la stessa quantità di monoinsaturi.
Dalla ricerca alla pratica: che fare nel quotidiano
Una premessa è d’obbligo, secondo gli Autori: «La scienza che studia il rapporto tra grassi e salute cardiovascolare è complessa quanto le caratteristiche degli elementi che studia. La comunicazione al pubblico deve tenerne conto e ogni raccomandazione deve saper interpretare queste evidenze complesse». Da questa affermazione di buon senso prende le mosse la definizione di “profilo alimentare equilibrato e pro.motore di salute”, caldeggiato come è stato detto da tutte le linee guida nutrizionali. Ecco che cosa raccomandano gli Autori:
1 - Distinguere i grassi secondo le fonti alimentari. Il consumatore può facilmente distinguere i grassi secondo le fonti alimentari (Tabella 2).
Nella Dieta Mediterranea le calorie da grassi, che non sono mai inferiori al 30% dell’energia giornaliera, provengono prevalentemente da fonti vegetali (olio extravergine d’oliva, frutta secca a guscio), o ittiche (polinsaturi omega-3.
Fondamentale per la conferma dei vantaggi (non solo cardiovasvcolari) della Dieta Mediterranea è lo studio spagnolo PREDIMED (PREvenciòn con DIeta MEDiterránea) che ha dimostrato, in una popolazione ad alto rischio cardiovascolare, i benefici di un’alimentazione a base prevalente di frutta, verdura, legumi, pesce, con l’aggiunta di quantità elevate di olio extravergine d’oliva (50 g al giorno), oppure di frutta secca (30 g al giorno tra 15 g di noci, 7,5 g di mandorle e 7,5 g di nocciole).
A distanza di 5 anni, il rischio di infarto cardiaco, ictus e mortalità è stato ridotto del 30% rispetto a quanto registrato nel gruppo di controllo, in cui la dieta, normocalorica e bilanciata, era caratterizzata da un ridotto tenore di grassi.
Non solo: nei gruppi supplementati con olio extravergine, oppure con frutta secca a guscio, il rischio di diabete tipo 2 si è addirittura dimezzato. Tali benefici si sono ottenuti grazie a un miglior controllo dei valori di pressione, glicemia, colesterolemia e a una riduzione di tutti i marcatori che segnalano infiammazione dell’endotelio vasale (parete delle arterie).
2 - Gli altri oli vegetali. Altri oli vegetali forniscono acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi in percentuale variabile. Per esempio sono ricchi di acido linoleico l’olio di semi di girasole e l’olio di mais; esiste tuttavia una varietà di olio di semi di girasole ad alto contenuto di acido oleico, il cui profilo in acidi grassi è molto simile a quello dell’olio d’oliva. L’olio più ricco di acido alfa-linolenico è invece l’olio di colza, soprattutto nella varietà chiamata Canola.
La relazione tra grassi insaturi e colesterolemia è ampiamente riconosciuta, al punto che la Commissione Europea autorizza l’adozione di un claim relativo al mantenimento di livelli normali di colesterolo nel sangue per gli oli che apportano almeno 1,5 g di acido linoleico per 100 g, con la precisazione che i benefici si ottengono con un apporto giornaliero di 10 g dell’acido polinsaturo omega-6.
3 - I casi particolari: cacao e prodotti lattiero-caseari. Gli alimenti hanno una composizione complessa: ecco perché alcuni alimenti con un buon contenuto di saturi si dimostrano positivi per la salute CV. L’esempio più noto è il cioccolato amaro: è dimostrato che un consumo moderato (10 g al giorno) e costante influenza positivamente la colesterolemia totale e LDL, la pressione e l’insulinemia, nonostante la relativa ricchezza in grassi saturi (specie l’acido stearico). In questo caso gli effetti favorevoli sarebbero mediati dai flavanoli, abbondanti proprio nel cacao amaro e nei prodotti derivati.
Per quanto riguarda i prodotti lattiero-caseari, gli effetti sul rischio cardiovascolare dipendono in parte dal tipo di alimento. Considerati nel complesso, i prodotti lattiero-caseari non sembrano influire sul rischio cardiovascolare. Anzi. Per lo yogurt si mette in luce una riduzione della colesterolemia totale, LDL e della trigliceridemia, un aumento delle HDL, oltre a una significativa riduzione del rischio di diabete tipo 2. Meno solidi sono i dati sulla relazione tra burro e latte intero e colesterolemia totale e LDL.
Che significato hanno questi dati? Secondo gli Autori, in futuro la ricerca nutrizionale dovrà approfondire anche il ruolo della matrice dei diversi alimenti, a iniziare dai lipidi, per chiarire la complessità delle interazioni metaboliche e degli effetti sulla salute CV. Queste informazioni potranno ottenere il consenso della comunità scientifica ed essere trasferite alle istituzioni e al pubblico come raccomandazioni nutrizionali.
Nel frattempo, il rapporto scientifico del Comitato consultivo per le linee guida nutrizionali statunitensi, pubblicato nel 2015, sottolinea che “un’alimentazione salutare può essere raggiunta seguendo più di uno schema alimentare e preferibilmente assumendo una grande varietà di cibi e bevande”.

Il versante carboidrati
Questa ampia revisione della letteratura non trascura il versante carboidrati, per il quale vengono ribadite le raccomandazioni a distinguere le fonti alimentari favorevoli: «Le raccomandazioni nutrizionali dovrebbero puntare a una limitazione degli amidi raffinati e degli zuccheri aggiunti, privilegiando gli alimenti contenenti carboidrati e ricchi di fibre: cereali integrali, frutta, legumi. Lo confermano dati recenti che dimostrano come la sostituzione di grassi saturi con carboidrati ricchi di fibre (da cereali integrali) riduce il rischio coronarico». Ancora più recente è l’analisi dei dati del Nurses’ Health Study e dello Health Professionals Follow-up Study, secondo la quale sostituire i grassi saturi con carboidrati a basso indice glicemico (si chiamano ancora in causa alimenti con un consistente contenuto di fibre, n.d.r.) riduce, anche se non significativamente, il rischio di infarto miocardico, mentre la scelta di carboidrati raffinati aumenta il rischio di infarto in modo significativo.
Conclusioni
- La ricerca sul ruolo dei grassi alimentari nella salute cardiovascolare ci permette di guardare con occhi diversi a questi nutrienti fondamentali.
- Il consumo di grassi deve oggi essere in.quadrato nella più ampia definizione di dieta complessivamente bilanciata, che enfatizzi il concetto di alimento salutare.
- Ecco perché l’attenzione oggi si focalizza sui lipidi contenuti in alimenti di origine vegetale e ittica, considerati promotori di salute, in quanto ricchi di acidi grassi insaturi e altri nutrienti che completano un profilo vantaggioso per la salute.
- Questi alimenti devono essere preferiti ai cibi ricchi di sale, di zuccheri aggiunti, a base di carboidrati raffinati e di carni lavorate.
- Sempre più le raccomandazioni nutrizionali future dovranno fare in modo che il consumatore possa identificare con facilità le fonti alimentari di lipidi salutari e che sia in grado di comporre diete, in grado di fornire tutti i nutrienti necessari in modo bilanciato, scegliendo nella maggiore varietà di alimenti disponibili.
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