Il modo in cui invecchiamo dipende anche da noi. Che non sia solo questione di genetica (e di epigenetica) lo dimostra la ricerca, puntando il dito su un acceleratore comune del logorio di cellule, tessuti e organi: l'infiammazione di basso grado (o LGI, Low Grade Inflammation). L'insidia è duplice: da un lato il danno da LGI è cronico, si accumula per insulti successivi e silenti, per poi esplodere con la malattia; dall'altro, va ricordato che i fenomeni infiammatori avevano con ogni probabilità un marcato effetto protettivo (dalle infezioni, per esempio) fino a qualche migliaio di anni fa, per i nostri antenati. In questa veste, la LGI è stata "protetta" dai meccanismi dell'evoluzione, per diventare poi un potente fattore di danno, in concomitanza con l'aumento della sopravvivenza, che la nostra specie si è conquistata negli ultimi decenni.
Tra i fattori in gioco nel sostenere l'infiammazione cronica di basso grado c'è proprio un'alimentazione disordinata nelle scelte, nei tempi e nei modi. Ma non solo quella, come precisa Francesco Visioli, del Dipartimento di Medicina Molecolare dell'Università di Padova, coautore di un articolo meticoloso sullo stato dell'arte in tema di infiammazione di basso grado, invecchiamento e alimentazione, pubblicato su Ageing Research Review (2017;40:95-119).
DOMANDA: Che cosa si intende con "infiammazione di basso grado" (o LGI)?RISPOSTA: La LGI non ha le manifestazioni evidenti dell'infiammazione che si scatena, per esempio, a livello di un'articolazione con dolore, calore, gonfiore, arrossamento. Ecco perché (solo in apparenza) non sembra lesiva. Ed ecco perché è più difficile inquadrarla dal punto di vista biochimico e definire tutte le contromisure . Di certo, però, l'azione a bassa intensità e lunga durata della LGI è uno dei principali fattori che compromette il benessere e porta, nel tempo, alla comparsa di patologie croniche. L'infiammazione acuta, invece, è la reazione massiccia e rapida dell'organismo a un evento lesivo, come un'infezione batterica, o virale, o una ferita. Conoscendola bene, sappiamo anche quando e come contrastarla, con farmaci mirati.
D.: Qual è il ruolo della LGI nell'invecchiamento (perdita progressiva di funzionalità di organi e sistemi) e nell'aumento del rischio di malattie acute o croniche?R.: L'invecchiamento è un processo fisiologico e inevitabile; la LGI è quel fattore in più, che compromette precocemente il benessere e favorisce la comparsa di malattie croniche. Gli effetti negativi dell'infiammazione di basso grado, infatti, interessano senza distinzione strutture di base come il DNA, le cellule, i tessuti, le proteine, i lipidi e così via. La sommatoria del danno ripetuto finisce per compromettere la funzionalità di organi e apparati. In inglese è stato coniato infatti un neologismo efficace: "inflammageing". Consideriamo per esempio la fisiopatologia dell'aterosclerosi: senz'altro in gioco c'è l'eccesso di lipidi nel sangue; ma, alla base di tutto, c'è l'infiammazione (alla quale, peraltro, l'ipercolesterolemia sembra concorrere in modo determinante). Infatti uno studio ha da poco dimostrato come un potente antinfiammatorio, senza altri interventi, possa prevenire un secondo infarto (o un secondo ictus ischemico), in persone che hanno già sofferto di un primo evento: è la conferma di un filone in pieno sviluppo. Del resto, il "fattore infiammazione" sta emergendo con forza in tutte le malattie cronicodegenerative: diabete di tipo 2, obesità, artrosi, osteoporosi, depressione maggiore, compromissione cognitiva e così via, fino ai tumori.
D.: Quali sono le "bandierine rosse" che segnalano la presenza di infiammazione di basso grado?R.: L'infiammazione cronica di basso grado è correlata alla presenza di parecchie molecole dosabili nel sangue, veri e propri biomarker. La quasi totalità di queste molecole, però, richiede dosaggi complessi e l'interpretazione attenta dei risultati, che ne impediscono l'uso nelle analisi di routine. Per la ricerca, invece, si rivelano utilissime. Utilizzabile nella pratica clinica, seppure solo come orientamento di base, è il livello della cosiddetta Proteina C reattiva (o PCR): ormai molti laboratori la dosano con le tecniche di alta sensibilità necessarie per catturare anche i segnali di LGI di cui stiamo parlando.
D.: Possiamo però tenere d'occhio gli eventi promotori (e moltiplicatori) della LGI? Quali sono quelli finora dimostrati?R.: In termini generali, possiamo guardare alla LGI come a uno squilibrio tra la produzione di molecole pro-infiammatorie e la capacità dell'organismo di liberarsene. Ognuno di noi costruisce nella vita un percorso immunobiografico personale, da cui deriva in gran parte lo stato di "inflammageing" soggettivo. E qui bisogna fare attenzione, perché non tutti gli stimoli pro-infiammatori hanno un potenziale lesivo simile. Cito un esempio noto: l'eccessiva igiene diffusa nella nostra società si associa alla comparsa di allergie nei bambini. Perché? Perché finisce per togliere all'organismo quel minimo confronto con l'ambiente, quella sorta di allenamento, che gli permette di non farsi trovare impreparato. Altro esempio: anche l'esercizio fisico rilascia fattori pro-infiammatori, ma se è graduale e costante allena l'organismo a sintetizzare molecole antinfiammatorie. Insomma, una certa esposizione a fattori pro-infiammatori è utile e non va evitata. Ciò detto, quali sono gli stimoli che fanno davvero male? Senz'altro quelli che danneggiano il DNA: l'esposizione cronica agli inquinanti e ai contaminanti ambientali, al fumo, ad alcuni farmaci. Cause riconosciute di LGI sono anche un riposo notturno costantemente insufficiente, un'alimentazione eccessiva in quantità e/o sbilanciata in qualità, un'attività fisica logorante e mai seguita da un adeguato recupero.
D.: Contromisure possibili: abbiamo certezze in proposito?R.: La risposta logica è: per contrastare la LGI è indispensabile minimizzare tutti gli stimoli proinfiammatori che ledono in profondità, favorendo invece la sintesi delle molecole in grado di sostenere l'efficienza dei processi biochimici di cellule, organi e tessuti. La prima risorsa è quella alimentare: c'è ormai consenso universale sull'associazione favorevole tra abitudini nutrizionali corrette e positive e migliore stato di benessere e salute. La riduzione del rischio di malattie nel tempo, insomma, passa anche attraverso il controllo nutrizionale dei fenomeni che promuovono l'infiammazione di basso grado. Spazio quindi alla cosiddetta Dieta Mediterranea, o ad altri schemi alimentari equilibrati e prudenti, ricchi di vegetali (secondo latitudini, coltivazioni e culture gastronomiche), grassi omega-3 (di origine marina, ma anche vegetale) e oli vegetali, oltre a cereali integrali, legumi, semi, alimenti ricchi di polifenoli (per esempio frutta secca e frutti rossi): sono tutti antagonisti efficienti della LGI e del rischio di malattia che ho citato prima.
D.: Microbiota, probiotici, prebiotici e infiammazione di basso grado: che cosa bisogna sapere?R.: L'uomo è cresciuto insieme ai batteri. L'organismo umano ha imparato a servirsi di quelli per lui utili (buoni) e ad allontanare quelli inutili o pericolosi. Anche in questo caso è fondamentale favorire i primi e tenere a bada i secondi, sostenendo la diversità dei ceppi batterici buoni e la loro proliferazione. La ricerca sui probiotici (batteri che favoriscono un microbiota sano) è oggi molto attiva e i suoi orizzonti sono probabilmente di lungo periodo. Le sue basi sono solide: sappiamo che i probiotici, concorrendo a mantenere sano l'intestino, impediscono che diventi sede di infiammazione; ma anche che ai probiotici bisogna dare sostegno con adeguati terreni di crescita (prebiotici), cioè alcune fibre e zuccheri a lunga catena.
D.: Attività fisica e infiammazione di basso grado: facciamo il punto.R.: Come è già stato accennato, siamo ormai certi che, a livello di popolazione generale, l'attività fisica moderata e regolare eserciti un ulteriore effetto antinfiammatorio, tanto da essere oggi suggerita come "prescrizione" medica indispensabile. Si conferma anche la necessità di seguire attitudini e preferenze personali, prima di scegliere quale attività svolgere, perché il benessere del corpo non può prescindere da quello della mente. Se guardiamo alla mente, del resto, abbiamo studi solidissimi, che confermano l'efficacia delle attività di rilassamento, di meditazione, di preghiera nel diminuire la concentrazione dei fattori pro-infiammatori: parliamo di pratiche come lo yoga, il tai-chi, la recitazione dei mantra, o la secolare recitazione del rosario (il rosario è presente in tutte le principali religioni). In conclusione, potremmo affermare che dalla ricerca più avanzata stanno emergendo le conferme a quanto l'uomo ha da sempre intuito sul rapporto tra ambiente, comportamenti personali e promozione del benessere e della salute. La marcia in più è altrettanto evidente: oggi abbiamo le risorse di metodo e interpretative per arrivare al traguardo di una consapevole personalizzazione degli interventi.