Introduzione
Andrea Poli e Franca Marangoni
Lo sviluppo del sovrappeso e dell’obesità è un processo a genesi multifattoriale (Das, 2010). Componenti genetiche ed ambientali giocano un ruolo di rilievo nella comparsa di queste condizioni; dati recenti mostrano come anche la composizione del microbiota intestinale sia di particolare importanza al proposito (Chassard, 2013).
In generale, tuttavia, si attribuisce la comparsa del sovrappeso a un duraturo squilibrio tra le calorie introdotte e le calorie consumate dall’organismo (Hill, 2012). Nonostante il dibattito sul ruolo preminente del maggiore apporto di calorie o del minore dispendio energetico tipico delle nostre società nello sviluppo del sovrappeso sia tuttora acceso tra gli esperti, esiste consenso sul fatto che ambedue questi aspetti hanno contribuito in modo significativo all’attuale diffusione del sovrappeso nella nostra società (WHO, 2000).
L’eccessivo apporto calorico (che potrebbe essere un eccesso solamente relativo, conseguente cioè al minore dispendio energetico tipico del mondo moderno) riguarderebbe tutte le principali classi di macronutrienti; classicamente la letteratura ha sottolineato soprattutto il ruolo dei grassi a tale proposito, sia per il maggiore contenuto calorico (e conseguentemente per la maggiore densità calorica degli alimenti che ne sono ricchi) (Astrup, 2000) e sia per il minore potere saziante dei grassi stessi (si veda al proposito la minore inibizione della risposta grelinica indotta dal consumo di grassi rispetto a quello degli altri macronutrienti) (Foster--Schubert, 2008). In particolare una metanalisi di 16 studi di intervento ha dimostrato che il consumo di diete a basso tenore di grassi, anche consumate ad libitum (e cioè in modo illimitato) è sufficiente per ottenere la riduzione dell'apporto calorico complessivo e la diminuzione del peso in 2 mesi (Willett, 2002) (1 MJ in meno ogni 10% in meno di grassi). Un altro studio ha dimostrato che i grassi eliminati dalla dieta non vengono in genere sostituiti dai carboidrati (Swinburn 2001).
Un ruolo specifico dei carboidrati (e specificamente degli zuccheri) sul sovrappeso è stato recentemente escluso da una metanalisi commissionata dal WHO (Te Morenga, 2013); questo ampio e sistematico lavoro di review mostra con chiarezza come un aumento del consumo di zuccheri si associ ad una maggiore probabilità di sviluppo del sovrappeso se gli zuccheri stessi sono aggiunti alla dieta, ma non se sono invece sostituiti isocaloricamente ad altri nutrienti, confermando quindi come sia l’eccesso calorico, e non l’eccesso di singoli o specifici nutrienti, la causa del sovrappeso stesso. In un recentissimo studio controllato, l’aggiunta di saccarosio alla dieta (pari a circa 430 Kcal/die per 4 settimane, in donne obese) non ha significativamente modificato il peso corporeo, indicando una compensazione quasi completa dello zucchero consumato (Reid, 2014).
Anche se raffrontato a quello dei vari carboidrati alimentari, il ruolo degli zuccheri non sembrerebbe specificamente sfavorevole, ove si consideri che il parametro cui si attribuisce attualmente maggiore rilevanza, anche ai fini dello sviluppo di sovrappeso (e cioè l’Indice Glicemico) è, per gli zuccheri e per il saccarosio in particolare, inferiore a quello di molti amidi, come pane e patate (Wolever, 1995). Alla minore risposta glicemica tipica degli alimenti a basso IG corrisponde una risposta insulinemica proporzionalmente ridotta, con una minore attivazione delle risposte infiammatorie e dello stress ossidativo, che svolgerebbero un possibile ruolo patogenetico nei confronti di molte condizioni patologiche, e con un minore rischio di ipoglicemia, che può favorire il consumo alimentare di nuovi carboidrati.
Il saccarosio è stato recentemente messo sotto accusa da alcuni autori anglosassoni anche per il suo tenore in fruttosio (che ne rappresenta il 50% circa in peso) (Bray, 2013). Va tuttavia sottolineato che la maggior parte degli studi che hanno evidenziato aspetti metabolici sfavorevoli del consumo del fruttosio stesso, specie sul controllo ponderale, hanno impiegato livelli elevati o molto elevati dello stesso (fino al 25% della calorie totali: un valore evidentemente troppo elevato per essere di qualunque rilevanza pratica) (Sievenpiper, 2012). Per livelli di consumo più normali, il fruttosio non indurrebbe alcuna significativa anomalia metabolica.
Va ancora sottolineato che la quasi totalità degli studi che associano l’aumento del consumo di zuccheri al rischio di sovrappeso è di natura osservazionale (Te Morenga L, 2013); questi studi sono, come è noto, caratterizzati dall’impossibilità di definire il ruolo causale dei fattori analizzati (e quindi, nel caso specifico, dello zucchero stesso al proposito). E’ significativo che in uno dei pochi studi randomizzati e controllati pubblicati, la riduzione del consumo di zucchero (sotto forma di soft drinks) non abbia indotto una significativa riduzione del peso corporeo; tra i ragazzi di etnia non--ispanica, in realtà, il peso è addirittura aumentato, seppure in modo non significativo (Ebbeling, 2012).
Alla luce del complesso di questi dati, va forse considerata ragionevole l’ipotesi che un elevato consumo di zuccheri sia in realtà solamente un marker di un’alimentazione non equilibrata, e non una causa primitiva di sovrappeso o obesità, se non in condizioni del tutto particolari. Se tale interpretazione è corretta, la riduzione dei consumi di zucchero non modificherebbe significativamente il peso corporeo.
Non va poi trascurato che lo zucchero, e in generale il gusto dolce, sono particolarmente e selettivamente graditi ai bambini e a molti adulti o anziani. Una quantità non eccessiva di zuccheri, pertanto, può facilitare il consumo di alimenti interessanti sul piano nutrizionale, ma talora poco graditi (frutta, cereali integrali, latte e yogurt).
Molte di queste preferenze alimentari hanno un supporto genetico (i gusti amaro e acido sono stati selezionati, dai meccanismi evolutivi, come indicatori di possibile rischio di tossicità alimentare, e sono spesso rigettati, specie dai bambini), e sono pertanto complesse da gestire. In questi contesti d’uso lo zucchero non rappresenta tra l’altro, come spesso si sente dire, una fonte di “calorie vuote”, ma piuttosto, in certi casi, di principi nutrizionali altrimenti trascurati o evitati. Analogamente, alcuni studi suggeriscono che l’idratazione di specifiche persone possa migliorare se viene loro offerta una bevanda di gusto gradito, e che le bevande dolci possono rappresentare, al proposito, un’utile possibilità.
Inoltre, e in conclusione, è necessario rilevare che i consumi di zucchero nel nostro Paese sono in genere contenuti. Sia i dati INRAN del 2006/2007 (Sette, 2010), e sia i più recenti dati LIZ (Marangoni, unpublished) confermano infatti che tali consumo sono in media moderati, e pari a circa 65--70 grammi/die negli adulti, considerando la somma del saccarosio utilizzato nella preparazione di alimenti o bevande dolci, o aggiunto dal consumatore a bevande come il caffè o il tè, e dello zucchero contenuto nella frutta e nel latte. Tali consumi eccedono probabilmente in meno del 5% dei casi i livelli fissati dai LARN, pubblicati nel 2012, e che indicano nel 15% del fabbisogno calorico il tetto di consumo ottimale per gli zuccheri stessi.
Glossario
Dispendio energetico
La quantità di energia, misurata in calorie, che un individuo consuma. Le calorie servono per respirare, far circolare il sangue, digerire il cibo ed essere fisicamente attivi.
Metanalisi
Tecnica che combina i risultati di molti studi, di impianto simile e che hanno esaminato quesiti simili, per aumentare la numerosità del campione di valori su cui si ragiona e quindi l'affidabilità delle conclusioni.
Carboidrati
Rappresentano la principale fonte energetica della dieta. Sono di due tipi: semplici e complessi. I semplici sono gli zuccheri, i complessi includono amido e fibra. Forniscono 4 calorie per grammo. Si trovano naturalmente in pane, cereali, frutta, verdura, latte e latticini. Torte, biscotti, gelati, caramelle, succhi di frutta e altri alimenti di questo tipo sono ricchi di zuccheri.
Indice glicemico
L'Indice Glicemico (Glycemic Index, o GI della letteratura anglosassone) è un indice della risposta glicemica indotta, nello stesso soggetto, da una quantità specifica di carboidrati in rapporto a un’equivalente quantità di carboidrati proveniente da un alimento standard.
Bibliografia
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