La relazione tra il consumo di carne rossa o processata e il rischio di demenza, rilevata in alcuni studi trasversali, è stata indagata in un recente studio prospettico di coorte britannico basato sui dati di 493.888 volontari afferenti alla UK Biobank; il consumo di carne (totale, rossa non trasformata, bianca non trasformata, trasformata sia rossa che bianca) dei soggetti arruolati all’inizio del periodo di osservazione è stato rilevato grazie alla compilazione di appositi questionari.
Nessuna correlazione significativa è emersa tra i livelli di consumo di carne totale e il rischio di sviluppare demenze a 6-8 anni. Anche il consumo di carne rossa non processata non è risultato associato ad alcun aumento del rischio; anzi, a ogni porzione aggiuntiva da 50 g di carne rossa, come manzo, maiale e agnello, consumata al giorno, corrispondeva una riduzione della probabilità di sviluppare la malattia del 19%. La relazione con il consumo di carni processate appare invece più complessa: tra i consumatori di meno di una porzione la settimana (<0,9) il rischio complessivo di demenza è risultato minore rispetto a quello di coloro che dichiaravano di non consumare mai questi alimenti; mentre per consumi oltre le due porzioni settimanali si è osservato un aumento del rischio del 37%.
La composizione nutrizionale della carne trasformata, legata alle specifiche tecniche di lavorazione, potrebbe spiegare almeno in parte, secondo gli autori, l’associazione osservata. Per i nitriti, ad esempio, utilizzati per migliorare alcune caratteristiche degli insaccati (oltre alla conservabilità), è stato proposto un ruolo nello sviluppo dello stress ossidativo, nell’attivazione delle citochine pro-infiammatorie e in altri meccanismi potenzialmente coinvolti nello sviluppo di demenza. Inoltre, le carni trasformate hanno spesso un elevato contenuto di sale, che è notoriamente associato ad un aumento della pressione arteriosa che, in età avanzata, può a sua volta aumentare il rischio di danni cerebrali con relativi deficit cognitivi. Tuttavia, il rischio maggiore osservato tra i non consumatori rispetto ai consumatori occasionali lascia immaginare che anche possibili meccanismi di natura indiretta (come la cosiddetta causalità inversa) possano aver contribuito all’associazione rilevata. L’associazione favorevole tra carne rossa non trasformata e minore rischio di demenze potrebbe essere spiegata, sempre secondo gli autori, dall’elevato apporto di proteine e da una minore probabilità di sviluppare carenza di ferro, che nell’anziano sono direttamente correlati con la funzione cognitiva.
La relazione tra i consumi di carne e il rischio di declino cognitivo si conferma quindi complessa, e meritevole di ulteriori indagini in altre coorti e nell’ambito di diversi pattern di consumo.
Glossario
Correlazione
Valutazione della relazione esistente tra differenti variabili, che non implica necessariamente un rapporto di causa ed effetto tra loro. Il tipo di relazione più frequentemente studiato è quello lineare (una retta in un piano cartesiano) in questo caso la forza della correlazione viene espressa con un numero (r) che varia da -1 (la maggiore correlazione negativa possibile) a +1 (la maggiore correlazione positiva possibile) un valore pari a 0 indica assenza di qualsiasi correlazione.
Pressione arteriosa
Pressione del sangue nelle arterie dovuto all'attività contrattile del muscolo cardiaco e alla resistenza vascolare periferica, distinta in sistolica o massima e diastolica o minima.
Meat consumption and risk of incident dementia: cohort study of 493,888 UK Biobank participants
Zhang H, Greenwood DC, Risch HA, Bunce D, Hardie LJ, Cade JE
Am J Clin Nutr. 2021;nqab028. doi:10.1093/ajcn/nqab028. [published online ahead of print, 2021 Mar 22]BACKGROUND: Worldwide, the prevalence of dementia is increasing and diet as a modifiable factor could play a role. Meat consumption has been cross-sectionally associated with dementia risk, but specific amounts and types related to risk of incident dementia remain poorly understood.
OBJECTIVE: We aimed to investigate associations between meat consumption and risk of incident dementia in the UK Biobank cohort.
METHODS: Meat consumption was estimated using a short dietary questionnaire at recruitment and repeated 24-h dietary assessments. Incident all-cause dementia comprising Alzheimer disease (AD) and vascular dementia (VD) was identified by electronic linkages to hospital and mortality records. HRs for each meat type in relation to each dementia outcome were estimated in Cox proportional hazard models. Interactions between meat consumption and the apolipoprotein E (APOE) ε4 allele were additionally explored.
RESULTS: Among 493,888 participants included, 2896 incident cases of all-cause dementia, 1006 cases of AD, and 490 cases of VD were identified, with mean ± SD follow-up of 8 ± 1.1 y. Each additional 25 g/day intake of processed meat was associated with increased risks of incident all-cause dementia (HR: 1.44; 95% CI: 1.24, 1.67; P-trend < 0.001) and AD (HR: 1.52; 95% CI: 1.18, 1.96; P-trend = 0.001). In contrast, a 50-g/d increment in unprocessed red meat intake was associated with reduced risks of all-cause dementia (HR: 0.81; 95% CI: 0.69, 0.95; P-trend = 0.011) and AD (HR: 0.70; 95% CI: 0.53, 0.92; P-trend = 0.009). The linear trend was not significant for unprocessed poultry and total meat. Regarding incident VD, there were no statistically significant linear trends identified, although for processed meat, higher consumption categories were associated with increased risks. The APOE ε4 allele increased dementia risk by 3 to 6 times but did not modify the associations with diet significantly.
CONCLUSION: These findings highlight processed-meat consumption as a potential risk factor for incident dementia, independent of the APOE ε4 allele.