La raccomandazione a consumare regolarmente pesce è condivisa da quasi tutte le linee guida per una sana alimentazione, nazionali e internazionali. Le evidenze scientifiche degli ultimi decenni hanno infatti confermato il ruolo di questo alimento, e di specifici nutrienti e componenti biologicamente attivi in esso contenuti, nella prevenzione delle malattie cronico degenerative, soprattutto cardiovascolari. In particolare, oltre alla quota proteica, alle vitamine e ai minerali, la componente lipidica del pesce è stata ampiamente studiata come principale fonte dietetica di acidi grassi polinsaturi a lunga catena della serie omega-3, la cui assunzione è stata messa in relazione con la riduzione del rischio di eventi cardiovascolari, inclusa la morte cardiaca improvvisa, probabilmente mediante la prevenzione delle aritmie ventricolari fatali.
I risultati di questa metanalisi confermano i benefici del consumo regolare di pesce, ridimensionando il significato degli studi che hanno rilevato un aumento del rischio di fibrillazione atriale nei pazienti con alto rischio cardiovascolare che assumevano quantità molto elevate di omega-3 con farmaci o integratori. Tale osservazione si riferiva a soggetti trattati con dosi dell’ordine di 3-4 grammi al giorno di questi acidi grassi, equivalenti a parecchie porzioni quotidiane dei pesci più ricchi di questi composti.
Il dato della metanalisi è particolarmente solido: innanzitutto perché deriva dalla valutazione di 17 studi, per un totale di 54.799 partecipanti di 21 paesi in 4 continenti (Nord America, Europa, Asia e Africa), con un follow-up mediano di 13 anni; in secondo luogo perché la registrazione delle abitudini alimentari, e specificamente del consumo di pesce, è corroborata dal dosaggio dei livelli di omega-3 endogeni, circolanti o nel tessuto adiposo, indicatori puntuali della loro presenza nella dieta. L’analisi di questi dati evidenzia l’assenza di associazione con il rischio di fibrillazione atriale per i livelli dietetici ed endogeni di EPA, e una correlazione statisticamente significativa, inversa, e quindi favorevole, per i livelli dei prodotti a più lunga catena, DPA o acido docosapentaenoico e soprattutto DHA, aggiungendo quindi elementi a supporto dell’importanza dell’apporto di omega-3 da pesce in prevenzione cardiovascolare.
Glossario
Metanalisi
Tecnica che combina i risultati di molti studi, di impianto simile e che hanno esaminato quesiti simili, per aumentare la numerosità del campione di valori su cui si ragiona e quindi l'affidabilità delle conclusioni.
Correlazione
Valutazione della relazione esistente tra differenti variabili, che non implica necessariamente un rapporto di causa ed effetto tra loro. Il tipo di relazione più frequentemente studiato è quello lineare (una retta in un piano cartesiano) in questo caso la forza della correlazione viene espressa con un numero (r) che varia da -1 (la maggiore correlazione negativa possibile) a +1 (la maggiore correlazione positiva possibile) un valore pari a 0 indica assenza di qualsiasi correlazione.
Omega-3 Fatty Acid Biomarkers and Incident Atrial Fibrillation.
Qian F, Tintle N, Jensen PN, Lemaitre RN, Imamura F, Feldreich TR, et al.
J Am Coll Cardiol. 2023 Jul 25;82(4):336-349. doi: 10.1016/j.jacc.2023.05.024. PMID: 37468189.BACKGROUND: The relationship between omega-3 fatty acids and atrial fibrillation (AF) remains controversial.
OBJECTIVES: This study aimed to determine the prospective associations of blood or adipose tissue levels of eicosapentaenoic acid (EPA), docosapentaenoic acid (DPA), and docosahexaenoic acid (DHA) with incident AF.
METHODS: We used participant-level data from a global consortium of 17 prospective cohort studies, each with baseline data on blood or adipose tissue omega-3 fatty acid levels and AF outcomes. Each participating study conducted a de novo analyses using a prespecified analytical plan with harmonized definitions for exposures, outcome, covariates, and subgroups. Associations were pooled using inverse-variance weighted meta-analysis.
RESULTS: Among 54,799 participants from 17 cohorts, 7,720 incident cases of AF were ascertained after a median 13.3 years of follow-up. In multivariable analysis, EPA levels were not associated with incident AF, HR per interquintile range (ie, the difference between the 90th and 10th percentiles) was 1.00 (95% CI: 0.95-1.05). HRs for higher levels of DPA, DHA, and EPA+DHA, were 0.89 (95% CI: 0.83-0.95), 0.90 (95% CI: 0.85-0.96), and 0.93 (95% CI: 0.87-0.99), respectively.
CONCLUSIONS: In vivo levels of omega-3 fatty acids including EPA, DPA, DHA, and EPA+DHA were not associated with increased risk of incident AF. Our data suggest the safety of habitual dietary intakes of omega-3 fatty acids with respect to AF risk. Coupled with the known benefits of these fatty acids in the prevention of adverse coronary events, our study suggests that current dietary guidelines recommending fish/omega-3 fatty acid consumption can be maintained.