Tra le diverse forme di demenza, la più comune a livello globale è l’Alzheimer, che infatti ad oggi, secondo stime dell’OMS, colpisce più di 55 milioni di persone in tutto il mondo. Prove dell’associazione tra livelli di assunzione di acidi grassi polinsaturi della serie omega-3, e in particolare di acido docosaesaenoico o DHA, e il minore rischio di sviluppare demenza, continuano ad accumularsi in letteratura. La più recente arriva da questo studio osservazionale basato sulla coorte del Framingham Offspring Study.
Dall’analisi dei dati relativi a 1490 partecipanti di età pari o superiore a 65 anni, che sono stati seguiti per 7 anni in media, senza diagnosi di demenza all’inizio dello studio, è emerso che il rischio di sviluppare il morbo di Alzheimer era dimezzato (- 49%) nei soggetti che si trovavano nel quintile superiore di livelli di DHA nelle membrane dei globuli rossi (oltre il 6,1% degli acidi grassi totali), rispetto ai soggetti nel quintile con DHA più basso (inferiore al 3,8%). A una variazione delle concentrazioni di DHA pari alla differenza registrata tra i due gruppi gli autori stimano che corrisponda un ritardo di circa 4 anni di vita della diagnosi della malattia.
I ricercatori hanno anche notato che tale correlazione favorevole era particolarmente significativa per i portatori dell’allele APOE-e4, la cui presenza è notoriamente associata a un aumento del rischio di sviluppare questo tipo di demenza. Va sottolineato che, poiché la sintesi endogena di DHA a partire dai precursori a 18 e 20 atomi di carbonio è relativamente inefficiente nell’uomo, i livelli circolanti di questo acido grasso riflettono i livelli di assunzione con gli alimenti o con integratori.
Queste osservazioni, in conclusione, si aggiungono alle prove esistenti a supporto dei benefici per la salute del sistema nervoso centrale dell’apporto adeguato di DHA, la cui efficacia sarebbe maggiore nelle persone con predisposizione genetica a sviluppare demenza. Il consumo di cibi ricchi in questo acido grasso, e cioè soprattutto i pesci come lo sgombro, il salmone, le aringhe, le alici, può rappresentare quindi una strategia utile anche per diminuire il rischio di demenza e, come propongono gli autori, guadagnare anni di vita senza malattia.
Glossario
Correlazione
Valutazione della relazione esistente tra differenti variabili, che non implica necessariamente un rapporto di causa ed effetto tra loro. Il tipo di relazione più frequentemente studiato è quello lineare (una retta in un piano cartesiano) in questo caso la forza della correlazione viene espressa con un numero (r) che varia da -1 (la maggiore correlazione negativa possibile) a +1 (la maggiore correlazione positiva possibile) un valore pari a 0 indica assenza di qualsiasi correlazione.
Red Blood Cell DHA Is Inversely Associated with Risk of Incident Alzheimer's Disease and All-Cause Dementia: Framingham Offspring Study
Sala-Vila A, Satizabal CL, Tintle N, Melo van Lent D, Vasan RS, Beiser AS, Seshadri S, Harris WS.
Nutrients. 2022;14(12):2408. doi:10.3390/nu14122408Docosahexaenoic acid (DHA) might help prevent Alzheimer's disease (AD). Red blood cell (RBC) status of DHA is an objective measure of long-term dietary DHA intake. In this prospective observational study conducted within the Framingham Offspring Cohort (1490 dementia-free participants aged ≥65 years old), we examined the association of RBC DHA with incident AD, testing for an interaction with APOE-ε4 carriership. During the follow-up (median, 7.2 years), 131 cases of AD were documented. In fully adjusted models, risk for incident AD in the highest RBC DHA quintile (Q5) was 49% lower compared with the lowest quintile (Q1) (Hazard ratio [HR]: 0.51, 95% confidence interval [CI]: 0.27, 0.96). An increase in RBC DHA from Q1 to Q5 was predicted to provide an estimated 4.7 additional years of life free of AD. We observed an interaction DHA × APOE-ε4 carriership for AD. Borderline statistical significance for a lower risk of AD was observed per standard deviation increase in RBC DHA (HR: 0.71, 95% CI: 0.51, 1.00, p = 0.053) in APOE-ε4 carriers, but not in non-carriers (HR: 0.85, 95% CI: 0.65, 1.11, p = 0.240). These findings add to the increasing body of literature suggesting a robust association worth exploring dietary DHA as one strategy to prevent or delay AD.